Quante destre e quante sinistre per l’Italia

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Flavio Tosi, probabilmente, strappa e dice basta: basta col fascioleghismo di Salvini, basta con le strizzate d’occhio a CasaPound e alle frange più impresentabili dell’estrema destra, basta con gli slogan anti-euro, la guerra agli immigrati e l’elezione di Marine Le Pen, ossia dell’estrema destra francese, a nume tutelare del nascente Fronte Nazionale italiano. Da buon democristiano d’area dorotea, è comprensibile che il sindaco di Verona preferisca di gran lunga avere come compagni di viaggio Alfano, Casini e Passera, ossia gli unici tre personaggi ancora presentabili di una destra allo sbando, cui potrebbe presto aggiungersi Fitto se dovesse trovare il coraggio di staccarsi definitivamente da una Forza Italia ormai divenuta un insieme di bande rivali in guerra fra loro.

E così, a breve, per quanto riguarda il centrodestra, avremo due poli: un Fronte Nazionale di protesta, capace di coagulare i diversi estremismi presenti in quell’area, e un’aggregazione di sedicenti “moderati” il cui bacino, però, è ancora troppo esiguo per costituire una vera alternativa al renzismo di governo. Il quadro potrebbe cambiare radicalmente nel caso in cui qualcuno, a sinistra, trovasse finalmente il coraggio di salutare la gremita compagnia renziana e dar vita a quella “coalizione sociale” lanciata da Maurizio Landini e Stefano Rodotà, restituendo una bandiera da sventolare e un minimo di rappresentanza ai ceti sociali cui il Presidente del Consiglio ha da tempo voltato le spalle.

Operai, precari, cassintegrati, studenti, ceti medio-bassi, immigrati e intellettuali a lui non interessano, questo ormai dovrebbe esser chiaro a tutti: l’ex sindaco di Firenze ha scelto Marchionne, la Confindustria, il mondo dell’alta economia e della finanza, i padroncini ex berlusconiani e oggi senza una casa politica cui rivolgersi, i cosiddetti “Brambilla” della Brianza non più “felix” come un tempo e quella vasta area centrista che costituì il bacino di riferimento della Democrazia Cristiana e che per due decenni ha rappresentato lo zoccolo duro del berlusconismo.

Oggi c’è Renzi e il PD, almeno per come l’abbiamo conosciuto, non esiste più: anche questo è evidente, ma i vari Civati, Fassina, Cuperlo, Bersani e tutti gli altri esponenti della minoranza dem faticano ad accettarlo e a rassegnarvisi, ancora convinti di potersi riprendere, un domani, il partito per riportarlo dove dovrebbe stare. A nostro giudizio non accadrà: il PD ormai è un partito irrecuperabile, geneticamente modificato nel profondo, mutato nella rappresentanza e nei componenti, nei punti di riferimento e nella collocazione politica. Non più un partito di centrosinistra ma un comitato elettorale del leader, post-ideologico, astorico, lontano anni luce dalla storia e dalle tradizioni dei partiti che si sono sciolti per costituirlo: in poche parole, un ibrido in cui contano solo il capo e il “Giglio magico” dei fedelissimi, gli altri eseguono.

Si può far politica così? No, e questo i personaggi sopra citati lo sanno benissimo, tant’è che sono da mesi sul punto di rottura, da mesi partecipano a manifestazioni chiaramente anti-governative, da mesi cercano sponde nel mondo sindacale e nella società civile ma hanno due problemi non da poco che li frenano nel compiere lo strappo definitivo: manca un leader, dato che Landini, almeno per il momento, sembra non volerne sapere di allontanarsi dalla FIOM, e manca un possibile candidato premier, il che non garantisce quel respiro di governo senza il quale Renzi può dormire sonni tranquilli.

La vera differenza fra la destra e la sinistra sta in questo: a Salvini va benissimo garantirsi una rendita di posizione all’opposizione, contendendo il ruolo di nemico giurato del renzismo a Beppe Grillo e veleggiando verso vette mai nemmeno sfiorate dal movimento che nacque per compiere la secessione da Roma e oggi manifesta insieme ai più accesi sostenitori del nazionalismo e di un concetto di patria marcatamente mussoliniano.

Anche Salvini, al pari di Renzi, è un po’ di destra e un po’ di sinistra: nasce comunista padano, diviene paladino del secessionismo in stile pratone di Pontida ma oggi, di fronte allo sfarinamento del centrodestra e all’implosione dell’asse di governo con gli altri partiti della destra, sembra non disdegnare affatto la compagnia dell’ultra-nazionalista Meloni e dei fascisti di CasaPound, con Borghezio a officiare le nozze in virtù dei suoi trascorsi giovanili nell’estrema destra.

Ciò che appare incredibile, in base alle indagini demoscopiche e alle analisi fornite da vari commentatori, è che questa destra-destra in salsa nero-verde riesca ad attrarre anche una consistente parte di elettori di sinistra. A noi, sinceramente, sorprende un po’ meno, in quanto sappiamo bene che quando si osserva la variegata galassia della sinistra si tende spesso a commettere l’errore di identificare quest’area con un certo mondo culturale e intellettuale, senz’altro d’élite e purtroppo minoritario nel Paese, e ad ignorare quella che un tempo era la base del PCI: operai, giovani, precari e tutte le categorie di cui abbiamo parlato prima, precisando che non rientrano minimamente nell’orbita renziana.

A tal proposito, sarebbe il caso di prendere in considerazione il fatto che a un disoccupato che non riesce a trovare lavoro e, forse, non lo cerca neanche più, a un esodato o a un cassintegrato costantemente sotto ricatto del “padrone” che a parlare sia un uomo di destra o di sinistra interessa assai meno di quanto possa stare a cuore a chi mangia senza problemi ogni giorno e giunge a fine mese senza patemi d’animo. Le fasce più disagiate della popolazione vedono il proprio potere d’acquisto erodersi sempre di più, i propri figli senza futuro, le occasioni di svago svanite nel nulla e finiscono col cadere facilmente preda della propaganda anti-europeista e delle grida contro la moneta unica e gli immigrati che caratterizzano l’offerta politica del fascio leghismo rampante.

Per arginarlo, ci vorrebbe una sinistra capace di coniugare pensiero e azione, protesta e proposta, un po’ meno salottiera e un po’ più desiderosa di sporcarsi le mani, dotata del coraggio di sfidare Renzi sul terreno delle riforme e di mostrare al Paese che un altro modello di sviluppo non solo è possibile ma oggi è assolutamente indispensabile per disincagliarci dalle secche della crisi e tornare a guardare al domani con un briciolo di fiducia. Una sinistra alla Landini, per intenderci, con i Cuperlo, i Rodotà, i Bersani e i Fassina a elaborare proposte e trasformarle in leggi, con un rapporto costante con la cittadinanza e con la base e con la saggezza di aprirsi a tutto ciò che di buono, di nuovo e di importante si agita in una società in costante evoluzione, nella quale sarebbe folle non valorizzare la freschezza e l’entusiasmo delle generazioni che si affacciano alla vita e desiderano portare il proprio contributo concreto alla comunità.

Se queste rispettabili persone dovessero illudersi di poter compiere un’azione così profonda e capillare in quella palude che è divenuto ormai il PD, perderebbero ogni residuo di credibilità e, soprattutto, l’occasione di imprimere una vera svolta di sinistra al craxusconismo che impera da trent’anni e di cui Renzi non è altro che l’ultimo alfiere in ordine cronologico.


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