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de Bortoli: “l’informazione non e’ un sushi”

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Estratti dall’ incontro-lezione di Ferruccio de Bortoli  il 24 febbraio scorso nella “Sala delle edicole” dell’Università di Padova a conclusione del corso di “Linguaggio giornalistico” dell’anno accademico 2014-2015 di Raffaele Fiengo. Le riflessioni virgolettate sono del direttore del Corriere della Sera Ferrucio de Bortoli. Il tema dibattuto : “Lo stato del giornalismo”. Assieme a de Bortoli e Fiengo nel video anche Vincenzo Milanesi, direttore del dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata (FISSPA).


<< Il giornalismo è fatto di domande difficili e scomode. Vale ancora la pena fare il giornalista oggi. Mai come in questo momento una professione come la nostra è indispensabile in un Paese come l’Italia. Siamo all’interno di una crisi epocale, sopratutto per quello che riguarda la sostenibilità economica di questa professione. Ma i temi del dibattito pubblico sono ancora attinti  dalle pagine dei quotidiani. E’ indubbio che un certo di tipo di informazione e di prodotto informativo è in declino, se non al tramonto. Ma non esiste ancora un modello diverso a cui ispirarsi e verso cui tendere.

L’informazione non è una commodity gratuita. L’informazione non e’ un sushi! Deve avere un valore. Se il giornalismo diventa una commodity gratuita non ci saranno più giornali liberi, non ci sarà più ricerca, non ci saranno più giornalisti preparati, non ci saranno più inchieste scomode. La libertà dei giornalisti va difesa.

Chi vi parla ha 160 processi in corso, è pregiudicato, nel senso che due sentenze per diffamazione nei miei confronti sono passate in giudicato. Ma ho avuto alle spalle una grande azienda editoriale che mi ha permesso di sostenere processi anche molto impegnativi e pesanti, contro agguerrite e potenti controparti.

Quello che è accaduto nella redazione del “Corriere” negli ultimi anni è sconvolgente. Siamo diventati un produttore di informazioni 24 ore su 24, sette giorni su sette. Siamo passati dall’idea che il giornale si faceva una volta al giorno al fatto che si fa in tutti i momenti e in tutte le ore ma con modalità diverse.

In Italia accade una cosa diversa dal resto del mondo. Nel nostro Paese la gran parte dell’informazione sul web è garantita dalle due testate principali: “Corriere” e “Repubblica”. I giornali hanno comunque un legame con il proprio territorio, riescono nello stesso tempo a farvi essere cittadini del vostro territorio e protagonisti della globalità. Una condizione auspicabile, ma difficilissima da raggiungere.

Per tanti secoli i giornali sono stati fatti allo stesso modo. In 40 anni ci sono state molteplici rivoluzioni tecnologiche. E tutte queste rivoluzioni hanno cambiato in profondità il linguaggio del giornalismo. Abbiamo un sacco di problemi, rischiamo di perdere il posto, forse la professione non è più quella di prima, ma  abbiamo tantissime
opportunità davanti. C’è comunque bisogno di contenuti di qualità e c’è bisogno di professionisti che li scrivano, che li creino.

E’ cambiato il ciclo di produzione delle notizie.  Si comunica in modo orizzontale fra di noi, ma anche fra organi di informazione e lettori. Molti contenuti vengono realizzati direttamente dagli stessi lettori. L’upload è una modalità editoriale straordinariamente proficua. Ci siamo accorti che i nostri  lettori sovente sono giornalisti migliori di noi.
Abbiamo dovuto fare un bagno di umiltà. Ci siamo resi conto, confrontandoci con la rete ogni giorno, che nessuno di noi è proprietario della verità.

Il giornalista deve essere più umile, deve essere più preparato, deve collaborare con i propri lettori e nello stesso tempo deve filtrare la mole immensa delle informazioni, che arrivano dalla rete, attraverso la propria professionalità, il proprio mestiere.

Tutti oggi siamo interconnessi, siamo testimoni in diretta di fatti e accadimenti, e il nostro spirito critico rischia di indebolirsi. Se io vedo un video di un fatto mi faccio una mia opinione e mi convinco di non aver bisogno di altre spiegazioni, di non avere più bisogno di un intermediario che mi racconti il prima e il dopo di quel fatto. Sono così onnipotente da non sentire il bisogno di consultare altri pareri, di confrontarmi con altre fonti. Mi basta essere un “surfista” della realtà per avere capito tutto. Questo è l’atteggiamento più pericoloso perchè ci trasforma da cittadini a sudditi della rete. Pur essendo straordinariamente collegati e sentendoci parte di questa realtà ne veniamo in qualche modo manipolati. Un buon giornalismo deve essere la coscienza critica della rete. Non piegarsi alla dittatura dei tag.
Sulla rete, troppo spesso,  trionfa un pensiero unico che non accetta di essere contraddetto.

La semplificazione della realtà porta a facili volgarizzazione e a posizioni estreme.  E’ molto più facile prendersela con qualcuno senza dover argomentare le proprie ragioni.

Non serve  avere articoli di giornale  sponsorizzati per aver un modello sostenibile di editoria e dobbiamo anche opporci al cosiddetto branded content. Un modello che nell’editoria anglosassone si sta invece diffondendo. Il rischio maggiore che il mondo dell’informazione può correre in questo momento è che la pubblicità possa essere il driver
delle scelte editoriali. E’ accaduto a molti periodici che, quando poi la pubblicità è venuta meno, sono stati costretti a chiudere.  Perchè non avevano più una propria identità editoriale, perchè non avevano più un pubblico, perchè si erano traformati in contenitori di pubblicità.

Si stanno diffondendo modalità di acquisizione diverse delle informazioni attraverso la rete. Un buon giornalismo deve preservare lo spirito critico dei propri lettori, le individualità e le loro libertà.

Dobbiamo conoscere l’identità di quelli che gestiscono la rete,  di coloro che creano gli algoritmi, di coloro che governano il cyberspazio, di quelli che manipolano i nostri dati personali. Non posso non sapere se c’è qualcuno che sa tutto di me.  Un buon giornalismo può essere un antidoto a questi pericoli >>

Il video integrale dell’intervento di de Bortoli su lsdi.it


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