Sono 166 pagine, scritte di comune accordo tra i membri conservatori e laburisti della Commissione cultura e sport della Camera dei Comuni sul futuro della BBC.
Sono stati passati al setaccio gli ultimi dieci anni di gestione dell’ente radiotelevisivo pubblico, focalizzando errori finanziari ed editoriali, come sovrapposizioni di nuovi canali e spese esorbitanti che ne hanno “offuscato le responsabilità” con l’acquisto di format non propriamente da servizio pubblico (come i talent show del sabato sera, tipo The Voice), oltre al fatto che spesso il BBC Trust, anziché controllare con autonomia e severità l’ente, di agire come “cane da guardia”, spesso si è lasciato condizionare dalle argomentazioni dei vertici della stessa BBC. Un organismo, secondo i commissari, anche troppo legato ai vari governi, sia per l’indirizzo e il controllo delle scelte editoriali sia per le scelte del top management della BBC. Da qui, la richiesta ai Comuni e al governo di creare un’unica commissione di controllo “più rigorosa” e di maggiori poteri ispettivi da parte del National audit, il revisore dei conti governativo, per visionare a fondo i conti finanziari, senza più poter opporre resistenze come avvenuto finora (anche perché la BBC a fronte di un canone di 145 sterline, ha un bilancio che supera i 4 miliardi di sterline l’anno).
Sul fronte del bilancio, poi, sono previsti ulteriori tagli per 400 milioni sterline entro il 2017, oltre a 1,1 miliardi di sterline già ridotti a partire dal 2007.
Dalle elezione politiche del 7 maggio (gli ultimi sondaggi pubblicati dal Guardian danno un sostanziale pareggio tra i conservatori del premier David Cameron, con 276 seggi, e i laburisti di Ed Miliband, con 271, ben lontani entrambi dalla maggioranza di 326) e fino al dicembre del 2016, quando dovrà essere rinnovata la convenzione, il cosiddetto Royal Charter è probabile che verrà istituito un Comitato di esperti indipendente che dovrà elaborare sulla base anche di questo Report le linee guida per la nuova BBC. Nel frattempo, comunque, non verrà modificato sostanzialmente il canone almeno fino al 2026, anche se si auspicano delle ripartizioni degli introiti per sostenere i media locali e regionali, le coproduzioni locali e lo sviluppo dei prodotti via internet con l’iPlayer e di programmi dedicati i bambini. Nel Report, tra l’altro, i commissari si dicono “preoccupati per la situazione critica dei giornali locali, un fatto molto pericoloso per la democrazia locale. Dobbiamo considerare l’utilizzo di parte dei proventi del canone per sostenere direttamente i giornali locali.” E’ stato inoltre sottolineato, che “a breve termine non c’è alcuna alternativa realistica al canone. Si porrà il problema nei tempi più lunghi per la raccolta, tenendo conto della svolta digitale, ma non possiamo affrontarlo subito”. A questo proposito, proprio per incentivare l’uso dei canali dedicati online, si suggerisce anche di “raccogliere fondi in più per un certo numero di servizi in abbonamento” e di orientarsi verso il “modello tedesco” di prelievo, con una tariffa forfettaria, “indipendentemente dal numero di persone in casa o il numero di televisori o radio”.
Il BBC Trust dovrebbe dunque essere abolito, perchè “non all’altezza delle aspettative ed è stato un errore mantenerlo”: questo il giudizio lapidario contenuto nel Report. Dovrebbe essere sostituito da un comitato unico BBC con una amministratore non-esecutivo (nominato dal governo), che sarebbe “in ultima analisi, responsabile per le prestazioni della BBC” e difenderla “dai politici o da altre sfide”. Una nuova Commissione per il Servizio di radiodiffusione pubblica (PSBC) dovrebbe esaminare la strategia e le prestazioni. A differenza del vecchio trust, avrebbe anche il potere di multare la BBC come sanzione finale; mentre la Ofcom (Office of Communications, l’autorità regolatrice indipendente per le società di comunicazione) dovrebbe poter estendere i suoi controlli sulla BBC, includendo “accuratezza e imparzialità (attualmente appannaggio del trust)”.
E per finire, il Report cerca di stigmatizzare la deriva “commerciale” dell’attuale BBC, che in molti casi ha cercato di rincorrere gli ascolti, mettendosi sul piano delle altre emittenti private, producendo “programmi televisivi simili a formati, che i telespettatori possono trovare altrove, come ne caso di The Voice”. Cercando di fornire “qualcosa per tutti”, si rischia di “spiazzare rivali più piccoli e inibire la loro capacità di crescere”. Anche perché la BBC gode di una “posizione privilegiata, grazie al finanziamento pubblico”, che dovrebbe farle “assumere rischi ed essere differenziata”, non fornendo programmi televisivi simili ai formati che gli spettatori possono trovare altrove. Bene ha fatto la BBC agli inizi dell’era digitale a perseguire la strada dell’innovazione con l’iPlayer e BBC Radio 6, anche per raggiungere il pubblico più giovane; mentre si nutrono forti dubbi sulla tenuta dei canali BBC3 e BBC4 che potrebbero essere o accorpati o trasferiti online o addirittura sospesi, dopo un decennio in cui le spese di mantenimento hanno superato un miliardo di sterline.
L’ultima preoccupazione espressa dal Report è per il Servizio mondiale della BBC, vera colonna portante dell’informazione full time su quanto accade in qualsiasi parte del globo. Un fiore all’occhiello, spesso copiato da Network commerciali, ma senza l’autorevolezza e il prestigio dell’originale. Ebbene, i commissari si lamentano che dopo la nomina a vice direttore di BBC News dell’attuale responsabile, le fonti di finanziamento autonome per mantenere il servizio mondiale BBC World possa essere assorbito dal canone: “Temiamo che l’importanza del Servizio mondiale potrebbe essere ridotta”.
E pensare che gli altri servizi pubblici europei (Germania, Francia e Italia), nemmeno si pongono queste preoccupazioni, impegnati come sono a difendere l’esistenza stessa dei servizi pubblici e le fonti di finanziamento dalle lobby commerciali, che vorrebbero suddividere il canone tra le emittenti pubbliche e private e ridurre lo spettro di azione delle TV pubbliche a mere produttrici di programmi culturali ed educativi, a scapito del pluralismo informativo e dell’innovazione editoriale e tecnologica.
La mancanza di una profonda culturale liberale e del senso dello stato sta facendo crollare anche i più timidi baluardi delle società a capitalismo maturo. Che strano, però, che proprio la patria delle dottrine liberal-capitalistiche sia rimasta l’avamposto nella difesa delle funzione dello Stato e dei servizi pubblici!
E che dire degli Stati Uniti di Obama, moderna patria del neoliberismo e del turbocapitalismo, dove nonostante le forti pressioni delle lobby delle ricchissime corporation di TLC e Internet, la FCC (Federal Communications Commission), ha decretato la “Neutralità della rete”, definendola “un bene pubblico” a difesa dei consumatori e della concorrenza, specie le piccole società del settore e i nuovi operatori che volessero entrare nel mercato.
“Internet è l’ultimo veicolo della libertà d’espressione”, ha dichiarato il presidente della FCC, Tom Wheeler, “ed è semplicemente troppo importante per permettere ai fornitori di accesso a Internet di essere anche gli stessi che fissano le regole. Ci hanno accusato di aver preso una decisione come fosse un “piano segreto per regolare Internet”. E’ assurdo, non si tratta tanto di un piano regolatore di Internet, quanto il Primo emendamento non è un piano per regolare la libertà di stampa!”.
Scelte a difesa delle libertà fondamentali, queste, che però in Italia verrebbero subito travisate e osteggiate come “decisioni vetero-stataliste” sia dal versante governativo sia da quello dell’opposizione, guidata dal partito-azienda del magnate televisivo Berlusconi.