Da Ben Guerdane a Kufra, l’elenco delle città che vivono sul passaggio dei migranti. Secondo il rapporto Going West circa la metà degli sfollati vive grazie alle rimesse o a lavori occasionali. E i costi in tutto il Paese sono aumentati esponenzialmente
MILANO – Libia, crocevia dei traffici a Nord dell’Africa. Un ruolo che il Paese ricopre fin dai tempi del regime di Gheddafi e che ora è non è più sotto controllo. Ci sono città nei pressi del confine che vivono di traffici da sempre. In Tunisia, a 20 chilometri dal confine libico, la città di Ben Guerdane vive da sempre di “scambi”: “traffici puliti”, che sostenevano l’economia della zona. La città, ad esempio, si è sempre rifornita del greggio di Tripoli evitando che questo venisse controllato. In modo da averne a basso prezzo da rivendere in Tunisia. Ora, stando all’esperienza del Danish refugee council e ai rapporti più recenti pubblicati sulla zona, si traffica in armi, uomini, persino droga. Secondo un documento del dicembre 2013 a firma della Banca Mondiale, si stima che in Tunisia i traffici illeciti verso Algeria e Libia valgano almeno 600 milioni di euro.
Ben Guerdane è uno dei grandi hub di transito delle merci, qualunque sia il genere. Il secondo è Sabha, la più grande città del Sud della Libia. Qui si trova una delle maggiori comunità di migranti, specialmente dall’Africa subsahariana, che vivono con quel che possono, nella speranza di mettere insieme abbastanza denaro per poter ripartire verso nord. Il primo snodo del traffico di uomini è Kufra: nel 2013 il rapporto Going West (uscito nel giugo 2014) a firma del Regional mixed migration secretariat (Rmms), un consorzio di cui tra gli altri fa parte il Drc, sulla base di stime del governo cittadino riteneva che il passaggio di migranti fosse di mille-3 mila profughi al giorno.
Nel rapporto si legge che le tariffe stimate per i viaggi sono di 800-1.000 dollari americani per attraversare il mare in inverno. Il costo diventa di 1.500 dollari quando gli sbarchi sono più frequenti. Per andare dalla prigione di Abu Salim, a Tripoli, fino alla spiaggia di Garabulli, ci vogliono 245 dollari. Seicento dollari è invece la tratta Bengasi-Tripoli e altri 489 quella Sabha-Tripoli. Tutti i pagamenti avvengono tramite hawala, una specie di “money transfer” informali.
Vivere è molto complesso nelle zone dove c’è il più alto numero di sfollati interni. Secondo quanto riferito dall’Assessment stilato da diverse agenzie dell’Onu nel dicembre 2014, solo uno su cinque mantiene uno stipendio, il 33% si fa pagare dei lavori per cui servono delle capacità specifiche, un altro 20% vive con i soldi delle rimesse o dei familiari, un 10% s’arrangia con lavori casuali, il 9% risparmia e un altro 7% s’arrangia come può. E le spese a cui far fronte sono cresciute per il 79% degli sfollati che hanno risposto all’indagine delle agenzie Onu. Questa situazione provoca un’emergenza alimentazione: per circa nove sfollati su dieci non garantita la sicurezza alimentare, il che significa che o non mangia a sufficienza o mangia alimenti che non garantiscono una giusta nutrizione. Secondo lo stesso documento il 53% degli sfollati non si registra nei municipi che dovrebbero garantire loro assistenza. (lb)