Monopoli a catinelle. Dopo l’affondo di Mondadori che intende mangiarsi la Rizzoli, dopo lo strabiliante annuncio di rivedere l’assetto della Rai con un decreto-legge (l’alta Corte ha sostenuto il contrario) con tanto di strali rivolti alla Presidente della Camera, ecco il colpo del secolo. E sì, perché l’annunciata offerta pubblica di acquisto (Opa) da parte della società degli impianti tecnici di Mediaset (Ei Towers) dell’omologa azienda della Rai (RaiWay) ha il sapore dello scacco matto. Il futuro del sistema è e sarà surdeterminato sempre di più dalla proprietà fisica dei media e delle diverse piattaforme di trasmissione dei messaggi. In vista della definitiva e compiuta maturazione dell’intreccio tra i vecchi mondi delle telecomunicazioni e della radiodiffusione nell’unificante territorio della rete, chi ha in in mano la “materia prima” ha il comando in ultima istanza. Tant’è, che nei paesi dove la regolamentazione è rigorosa (in Italia siamo al di sotto di ogni sospetto, com’è noto) è netta la distinzione tra i produttori dei contenuti e i “carrier” che trasmettono i segnali. Per intenderci, ora che tardivamente – ma si vorrebbe agire a tappe forzate– si delinea un piano per la banda larga e ultralarga, torri e dorsali sono il vero oro nero. Privarsene è assurdo.
E’ come (s)vendere i gioielli di famiglia. Ecco perché, quando nel giugno del 2014 fu convertito in legge il decreto n.66 che all’articolo 21 permise la vendita di quote di RaiWay, si levarono voci critiche, a cominciare dalle organizzazioni sindacali. Ma l’ansia di rifarsi dal taglio imposto dal governo di 150 milioni di euro al canone fece forse perdere di vista i rischi connessi alla quotazione in borsa della società, avvenuta poi nel novembre scorso. L’Opa di oggi ha le sue origini in una scelta che obiettivamente esponeva l’azienda a potenziali scalate. Hic Rhodus, hic salta: questo è il capitalismo, dove i buoni si mischiano spesso con i cattivi e viceversa. E’ pur vero che la Rai decise di quotare solo il 35% delle azioni, tant’è che Ei Towers vuole al minimo il 66%. Ma chi fermerà l’assalto al forziere tecnologico pubblico? Il decreto del Presidente del consiglio dei ministri seguito alla legge dice nelle premesse –è vero– che il 51% deve rimanere in capo alla casa madre, ma un Dcpm pare una ben fragile barriera rispetto all’ardore di una conquista così significativa. Infatti, c’è una vera smentita ufficiale? Del resto, ci ricordiamo la vicenda di Telecom? Anche allora si discettava di maggioranze pubbliche e di “golden share”, ed è finita come si sa. A proposito di Telecom, viene il legittimo sospetto che in filigrana si stagli proprio l’antico incumbent delle tlc italiane. E’ l’oggetto del desiderio di Mediaset, che potrebbe accasarsi prima o poi nei lidi dell’oceano grande, uscendo dal mare piccolo e impoverito della televisione generalista. Tra l’altro l’“uno-due” di Mondadori-Rcs e Ei Towers-Raiway fornisce una chiave di lettura a fatti come la vendita di pezzetti di Fininvest per il bell’ammontare di 377 milioni di euro. Siamo ad una svolta. Se passa l’Opa il duopolio diventa di fatto un monopolio proprietario, con un inquilino pubblico che paga l’affitto. Quale riforma della governance della Rai si varerà mai, se il biscione prende il posto del cavallo davanti a viale Mazzini di Roma? Le Autorità competenti (Antitrust, Consob, Agcom) e il Ministero dell’economia batteranno un colpo? Il silenzio non è degli innocenti.