“Il buio nell’anima”, il titolo di un film con Jodie Foster di qualche anno fa, esprime bene la sensazione che si prova di fronte all’ipotesi (già consumata?) dell’acquisizione di RcsMediaGroup da parte di Mondadori. Si tratta di un’operazione clamorosa, già ampiamente criticata con toni gravi e condivisibili da autori e intellettuali dei diversi marchi della Rizzoli preoccupati per l’autonomia delle diverse collane. Ed è un cataclisma talmente abnorme che persino le ovvie preoccupazioni –pensiero unico, omologazione, diminuzione dello spirito critico- paiono sottodimensionate. In verità, è uno strappo di violenza inaudita, che porta alla formazione di un gruppo in grado di controllare il 38% almeno del mercato del libro, diventando un caso unico in Europa.
Come lo è la proprietà di reti televisive nazionali da parte di Mediaset. E poi qualcuno si stupisce se siamo finiti al 73° posto nella classifica della libertà di informazione stilata da “Reporters sans frontières”: tra conflitti di interessi, trust, censure e attacchi ai giornalisti da parte della criminalità organizzata. E ci mancava pure la prova di forza (?) in uno dei settori di maggiore delicatezza della cultura, come ha rilevato il ministro Franceschini. Tutto ciò, tra l’altro, si inquadra in una situazione particolarmente sofferta e delicata del libro. Parlano con chiarezza i dati forniti dall’apposita indagine svolta dall’Associazione italiana editori (AIE) per il 2014. Calano dal 43% del 2013 al 41,4% gli italiani con più di sei anni che leggono almeno un libro all’anno; -3,8% il giro d’affari, -6,5% le copie vendute (dati Nielsen). L’ebook non è decollato ancora veramente e le librerie non legate alle grandi catene sopravvivono appena o sono in agonia. Fortunatamente, non è caduta nella tagliola delle liberalizzazioni –quanta ideologia sotto questa parola, come se i piccoli esercizi fossero la stessa cosa dei potenti della finanza- la legge Levi varata la scorsa legislatura tesa calmierare gli sconti selvaggi. E sempre le cifre offerte dall’Aie mettono in luce quanto la parabola sia discendente da diversi anni: rispetto al 2010 si sono persi quasi 600 milioni di euro. In un settore debole e in fase di consistente trasformazione tecnologica, il danno della concentrazione si fa sentire pesantemente, diventando un ulteriore fattore di crisi. Si mina, infatti, l’esistenza di molte case editrici che rischiano di dover lasciare il campo. Di fronte ad una simile concorrenza sleale chi è in grado di resistere, in un universo che ha vissuto sempre pericolosamente sotto il predominio di pochi?
Nel disastro annunciato non si ha contezza di iniziative puntuali delle Autorità competenti. L’Antitrust per ciò che sta nelle sue funzioni. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in osservanza del comma 2 dell’articolo 43 del Testo Unico del 2005, ripreso dalla stessa legge Gasparri dell’anno precedente. Che intende fare l’Agcom? Non è lecito assistere inerti a simile tregenda. L’art.43 prevede, del resto, una sequenza di azioni: dall’indagine istruttoria all’intervento coercitivo. Insomma, come dice il documento degli autori, “Questo matrimonio non s’ha da fare”: perché la produzione culturale si regge su tante tessere originali di un mosaico complesso, quanto è affascinante e irriducibile al comando unico la scrittura. Ora, magari, si capisce un po’ meglio il motivo della vendita di 377 milioni di azioni da parte di Fininvest dopo i successi di Borsa della pur affannata Mediaset. Accidenti, è il capitalismo all’italiana.