L’attivista e blogger Alaa Abdel Fattah ha consolidato il suo triste primato di essere stato incriminato o arrestato sotto Mubarak e da tutti e tre i regimi che si sono succeduti al potere dopo la rivoluzione del 2011. Il 23 febbraio un tribunale egiziano lo ha condannato a cinque anni di carcere per aver violato la legge contro le proteste che il governo del generale Al-Sisi aveva introdotto nella seconda metà del 2013. Una legge liberticida, che Alaa Abdel Fattah aveva pacificamente provato a contestare manifestando nel novembre 2013 di fronte al Consiglio della Shura, la camera alta del parlamento egiziano.
Per aver manifestato senza autorizzazione e per altre accuse fittizie, tra cui aggressione a forze di sicurezza, blocco stradale e interruzione delle attività delle istituzioni nazionali, nonché per il presunto furto di una ricetrasmittente della polizia, Alaa Abdel Fattah è stato condannato a cinque anni di carcere e a una multa equivalente a 12.000 euro nella riedizione di un processo del giugno 2014, poi annullato.
Si perde il conto delle volte in cui Alaa Abdel Fattah, dal 2006 a oggi, è stato condannato per aver esercitato unicamente il suo diritto alla libertà di espressione e di manifestazione. Suo padre Ahmed Saif, strenuo oppositore di Mubarak morto lo scorso agosto, ha ispirato tanto lui quando la sorella Mona Seif, promotrice della campagna “No ai processi militari per gli imputati civili”, anche lei in prigione per manifestazione non autorizzata.
Le autorità egiziane continuano dunque a imprigionare attivisti, blogger, giornalisti, esponenti delle organizzazioni per i diritti umani. A fronte di questo, il numero dei pubblici ufficiali condannati per aver ucciso, a più riprese, centinaia di manifestanti, continua a rasentare lo zero.