Se ci sarà un Disegno di Legge sulla Rai “dipende dai tempi parlamentari” ma “il nostro obiettivo” è che la prossima governance non sia indicata con i criteri della legge Gasparri. Lo ha detto Matteo Renzi a ‘In mezz’ora spiegando: “Se ci sono i tempi per portare a casa la riforma per Disegno di Legge ci sarà, se ci sono le condizioni di necessità e urgenza faremo un Decreto come prescrive la Costituzione”. Separiamo le questioni. Se si tratta di riformare la governance della Rai allora forse un decreto può andare bene se la logica è davvero quella di liberare le fonti di nomina dalla pressante e particolare attenzioni della politica. E l’attacco alla Legge Gasparri fatto dal Premier è in linea con quanto le associazioni per la libertà di informazione e il sindacato dei giornalisti Rai e la stessa FNSI hanno chiesto in più occasioni.
L’UsigRai afferma infatti che la riforma della governance annunciata da Renzi è un passaggio decisivo e indispensabile per la necessaria rivoluzione del Servizio Pubblico. L’obiettivo deve essere chiaro: rottamiamo il controllo sulla Rai dei partiti, ma anche dei governi e delle lobby. Quindi nuove fonti di nomina dei vertici, legge sui conflitti di interesse e certezza di risorse per garantire autonomia al Servizio Pubblico”. E, come ribadisce Vittorio Di Trapani e l’Esecutivo del sindacato dei giornalisti Rai – “Gli esempi delle altre tv pubbliche europee possono aiutare a trovare la strada. Su questo non ci possono essere né titubanze né prudenze. Scelgano governo e parlamento lo strumento idoneo, ma fate presto”.
Beppe Giulietti e Vincenzo Vita di Articolo 21 sono chiari: “Bene. Allora si proceda finalmente alla riforma della Rai, dopo anni di tentativi andati a vuoto per colpe trasversali. Si liberi il servizio pubblico da ogni tipo di condizionamento: partiti, lobby, salotti e gruppi di potere. Il presidente del consiglio ha fatto dichiarazioni impegnative. Ora non può tornare indietro”. Ma per Articolo 21 non si tratta di agire solo sul servizio pubblico radiotelevisivo. “Certo, a Renzi non sfuggirà l’urgenza altrettanto stringente di regolare il conflitto di interessi e di introdurre norme antitrust nel settore. Il caso Mondadori-Rizzoli è l’ultimo esempio di una parabola distruttiva del pluralismo e della concorrenza”.
La levata di scudi dal centrodestra, che per ventanni ha difeso la Rai dei partiti e il conflitto di interessi, fa ben pensare. Si arriva addirittura al limite delle offese personali nei confronti del Premier che viene definito ignorante, ducetto, deficente. Maurizio Gasparri è il più duro di tutti. Anche se le sue risposte “piccate” arrivano dopo la dura battuta di Renzi sul rapporto tra Cultura e Gasparri. “La Rai non è il posto dove i singoli partiti vanno e mettono i loro personaggi – aveva detto Renzi – ma un pezzo dell’identità culturale ed educativa del Paese, “allora non può essere disciplinata da una legge che si chiama ‘Gasparri”. E così attacca. “Renzi pensa di trattare la Rai come le aziende di famiglia del padre o come la sinistra ha fatto da sempre con il Monte dei Paschi. Ma finché‚ la Rai resta pubblica il dittatorello fiorentino dovrà rinunciare ai sogni di vana gloria”.
Poi interviene sugli aspetti culturali, sui quali era stato punto nel vivo. “Parla di Rai come azienda culturale – prosegue Gasparri – mette in fila quattro aggettivi e due sostantivi privi di senso e riesce perfino a far ridere più del suo imitatore. Solo quattro ingenui ancora riescono a farsi abbindolare dalle sue pessime idee. O forse – chiede Gasparri – la democrazia gli sta stretta e preferisce un vertice scelto da una fondazione a lui vicina? Potrebbe fare l’ennesimo piacere ai suoi amici, affidare la tv pubblica alla gestione di qualche coop rossa e magari agire per decreto dando una mano a qualcuno come ha fatto con la Banca dell’Etruria. A quando il ministero della cultura popolare?
Certo, quanto sarebbe piaciuto un Gasparri così quando Silvio Berlusconi cacciava dalla Rai Enzo Biagi, Daniele Luttazzi e Michele Santoro. Quanto sarebbe piaciuto un gasparri con la schiena così dritta anche quando il direttore del Tg1 Minzolini parlava di assoluzione al posto di prescrizione. Ma all’epoca era un’altra persona. Anche Paolo Romani dice a Renzi: “si informi ed eviti battute dettate solo dall’ignoranza: una delle massime industrie culturali d’Italia, la Rai, non merita la disattenzione dimostrata dal presidente del Consiglio”.
Ma anche Fabrizio Cicchitto, dal Nuovo Centro Destra, chiede a Renzi di andarci calmo. “La riforma della Rai non può esser fatta senza una serie di riflessioni, in gran fretta e a colpi di decreti. Infatti lo status della Rai è essenziale per assicurare il pluralismo politico e culturale. Allora, detto molto francamente, non vorremmo che la polemica sul rapporto partiti e Rai, con una conseguente riforma di stampa tecnocratico e verticistico, non si traduca nella realtà in un controllo del tutto centralizzato e univoco di essa”.
Per Lara Comi, europarlamentare di Forza Italia, “Nessuno mette in dubbio il fatto che l’ingerenza della politica nel servizio pubblico radiotelevisivo italiano sia un male, ma l’idea di creare una sorta di cabina di regia filo-governativa, che ‘guidi’ la Rai, è come passare dalla padella alla brace”.
Ma come si deve procedere? Per decreto o disegno di legge? Il segretario della Commissione di Vigilanza Rai e deputato del PD Michele Anzaldi si rivolge ai presidenti di Senato e Camera Pietro Grasso e Laura Boldrini. “Dopo la giusta accelerazione impressa dal premier Matteo Renzi e dal governo sulla Rai, i presidenti delle Camere Laura Boldrini e Piero Grasso si impegnino ad aprire una corsia preferenziale in Parlamento, vista l’urgenza dei tempi, per rendere possibile una riforma tramite Ddl. I tempi per intervenire per via parlamentare ci sono, per quanto siano molto stretti. E’ indispensabile che i presidenti delle camere contribuiscano a fare in modo che non rimanga tutto bloccato, per l’interesse di alcuni partiti a voler lasciare la Rai imprigionata nella morsa dei partiti e dei bilancini della commissione di Vigilanza. Se la Rai si trova da anni bloccata da veti e lottizzazioni, lo si deve anche al modello di nomina introdotto dalla Gasparri”.
E sulla centralità del parlamento sulla riforma sono d’accordo anche i cinque stelle. “Il premier più sovraesposto in Tv, segretario del Pd, suggerisce di essere l’unico in grado di liberare la Rai dalla politica. Se, a suo dire, il servizio pubblico non può essere disciplinato da una legge che si chiama Gasparri, è anche vero che non può essere disciplinato da un decreto che si chiama Renzi”. Riteniamo che il solo organo legittimato a cambiare una legge che regola il servizio pubblico radio Tv sia il Parlamento come in tutti i paesi democratici”.