Non sorprende, anzi era atteso, questo nuovo, violento, attacco alla libertà di stampa in Sudan. Il 16 febbraio è stata solo l’ennesima, ultima, giornata nera per l’informazione sudanese. Le forze di sicurezza hanno sequestrato in poche ore le copie di 13 quotidiani, sia filo-governativi che indipendenti, senza addurre motivazioni. Alcuni direttori sono stati posti in stato di fermo e interrogati per tutta la mattinata.
L’azione, ha denunciato l’organizzazione “Journalists for Human Rights”, rappresenta un’escalation senza precedenti da parte delle autorità contro la libera espressione nel Paese. La prima a diffondere la notizia è stata la France Press che ha intervistato il direttore di Al-Tayar, Osman Mirghani (nella foto), il quale ha raccontato del blitz dei funzionari dei servizi di sicurezza, subito dopo la stampa del quotidiano, che hanno sequestrato tutte le copie senza fornire spiegazioni.
Stesso trattamento per le altre dodioci testate, Al-Rai al-Aam, Al-Intibaha, Akhir Lahza, Al-Ahram al-Youm, Awal al-Nahar, Al-Watan, Al-Sudani, Alwan, Al-Saiha, Al-Mijhar al-Siyasi, Al-Dar e Hikayat.
L’ondata di repressione è chiaramente mirata a imporre la censura sulle notizie provenienti dalle regioni sudanesi e sulle azioni militari attuate da Khartoum, che coinvolgono civili e non solo gruppi ribelli. Ma anche sulle proteste che si sono animate nella capitale in vista delle prossime elezioni, che ancora una volta vedono come unico ‘reale’ candidato il presidente in carica, Omar al Bashir.
Nelle ultime settimane almeno settanta persone sono state arrestate, e rilasciate dopo ventiquattro ore, dalla polizia. I giornalisti sudanesi sono quotidianamente sottoposti alle molestie del regime: l’arresto, la detenzione, gli interrogatori, la confisca dei giornali stampati sono vessazioni continue per chi non si piega alla volontà governativa.
Tutto questo è stato più volte denunciato anche attraverso una lettera firmata dagli attivisti per i diritti dell’informazione libera alla Commissione africana sui Diritti umani.
L’escalation repressiva nei confronti dei media sudanesi si è intensificata negli ultimi anni, dopo la richiesta di imputazione del presidente Bashir, accusato di genocidio e di crimini di guerra dal Tribunale Penale Internazionale.
Da quel momento il servizio di sicurezza del regime ha imposto una serie di controlli di pre-censura. Ogni giornale viene visionato tutte le sere sera da un esponente dei Servizi e decide quali articoli debbano essere tagliato o riscritti. Spesso i direttori sono costretti a cancellare intere colonne o pagine.
A tutto questo l’intera opinione pubblica sudanese dovrebbe dire basta, ma in un Paese dove manifestare la propria espressione può costare la libertà non stupisce che cali il silenzio.
Insieme ad Articolo 21, oltre ad esprimere totale solidarietà ai giornalisti che si contrappongono alla censura della giunta militare, chiediamo che il Governo e i media del nostro Paese non ignorino le repressioni messe in atto dal regime di Khartoum. La prossima settimana “Italians for Darfur” presenterà l’annuale rapporto sulla crisi in Darfur e sulle violazioni dei diritti umani in Sudan. Tra i punti trattati la questione della mancanza di libertà di espressione avrà grande rilevanza.
Nel report si evidenzia come la stampa in Sudan soffra di numerose restrizioni a causa della normativa vigente, la cui violazione comporta anche la detenzione e la tortura, a dispetto della Interim National Constitution del 2005 che ne affermava invece il principio. Principio che i nostri colleghi sudanesi sono disposti a rivendicare anche a costo di finire in carcere o rischiare la propria incolumità fisica.