Un episodio di prevaricazione da un lato e di subalternità dall’altro ha in questi giorni segnalato per l’ennesima volta che nel cuore di Roma esiste una zona che è preclusa a qualsiasi inizitiva, pubblica ed ora anche privata, che in qualche modo abbia a che fare con la <questione palestinese> e con il conflitto asimmetrico tra lo Stato di Israele ed il Popolo di Palestina.
AssopacePalestina, l’Università Roma3 e l’Osservatorio sul razzismo avevano organizzato un confronto di altissimo livello, per la qualità degli interlocutori e l’importanza del tema. Introdotto dal direttore del dottorato in scienze politico, Leopoldo Nuti, il noto storico israeliano Ilan Pappé, autore dell’ormai celebre testo “La pulizia etnica della Palestina”, avrebbe dialogato con l’antropologo Francesco Pompeo, dell’Osservatorio sul Razzismo, l’antropolooga Ruba Salih dell’Università di Londra, l’islamista Bianca Maria Scarcia Amoretti dell’Università La Sapienza, l’islamista Anna Bozzo dell’Università Roma 3, con lo scrittore ed attore Moni Ovadia, Luisa Morgantini, presidente di AssopacePalestina, già vice presidente del Parlamento Europeo, sul tema “Europa e Medio Oriente oltre gli identitarsimi.
Era programmato ed era stato già annunciato che l’evento si sarebbe svolto nella Sala Capizzucchi, del Centro di Studi Francesi dell’Università Roma 3, in piazza Campitelli, lunedì 16 febbraio dalle ore 14 alle 18. Ma il rettore di Roma 3 ha revocato la concessione della sala ed ha ritirato l’adesione dell’ateneo alla iniziativa. Pare – ma c’è da giurare, dati alcuni noti precedenti, che le voci che circolano rispondano al vero – che la decisione del rettore sia conseguente a pressioni dell’ambasciatore israeliano e di esponenti della comunità ebraica romana.
Non è la prima volta che enti ed istituzioni cedano a pressioni del genere. Ora, che l’ambasciatore israeliano faccia il suo mestiere e cerchi di evitare che vengano rese note le responsabilità del suo Stato nei confronti del Popolo Palestinese e le pluridecennali sue violazioni della legalità internazionale, si può comprenderlo senza per questo non ritenere inaccettabili interferisca nelle attività di enti ed istituzioni del nostro paese. Meno comprensibili ed altrettanto inaccettabili sono gli atteggiamenti prevaricatori di alcuni esponenti della comunità ebraica che ostinandosi ad accusare di antisemitismo chiunque denunci l’illegalità della occupazione israeliana e sostenga il diritto della popolazione palestinese a vivere in libertà e dignità nel proprio paese pretendono di impedire la libera manifestazione del pensiero di chi avversa la politica israeliana.
Del tutto incomprensibile è la subalternità di enti ed istituzioni che si sottomettono ad indebite pressioni come nel caso ultimo del rettore di Roma 3. In nome di che ed in funzione di cosa si accetta la limitazione dell’agibilità democratica nella città di Roma? Davvero è difficile capirlo. Certamente non si serve la causa della pace che potrà raggiungersi solo ripristinando il rispetto della legalità internazionale, per cui ogni dibattito, ogni manifestazione che chiarisca i termini della situazione in atto, dia voce a chi è occupato ed oppresso ed apra un dialogo dà l’unico contributo possibile alla costruzione della pace.