E’ sicuramente un brutto momento per la libertà di stampa. Il bilancio annuale di Reporter senza frontiere indica un arretramento generale a causa soprattutto dell’impatto devastante dei gruppi islamisti radicali. Crolla addirittura di 24 posti l’Italia per altri fattori dove la situazione appare in maniera meno drammatica rispetto ai territori insanguinati dalle guerre ma che conferma quanto sia difficile mantenere la libertà di informare. Due sono soprattutto le difficoltà messe in luca dal rapporto: le minacce della mafia e le querele temerarie, usate come bavaglio soprattutto dai politici e che potrebbero essere addirittura esasperate dalla legge sulla diffamazione. Sono state ben 129 le cause “ingiustificate” contro i giornalisti, in gran parte fatte da parlamentari. Escalation purtroppo anche negli attacchi provenienti dalla criminalità organizzata: ci sono stati 43 casi di aggressione fisica e 7 di attacchi incendiari, oltre a 332 minacce verbali. Da tener presente che 14 cronisti sono attualmente sotto scorta.
Per quanto riguarda la situazione mondiale il Paese più pericoloso resta la Siria dove c’è stato il maggior numero di vittime, davanti ai territori palestinesi, a Iraq, Ucraina, Messico, Afghanistan e Honduras. Ma autentici “buchi neri” nell’informazioni si rilevano sempre in Cina, Turkmenistan, Corea del nord, Eritrea e Nigeria. Da sottolineare anche l’intensificazione della violenza contro i reporter in Paesi dove sono in corso le proteste popolari come Hong Kong, Brasile e Venezuela. Per quanto riguarda gli Stati africani, nonostante la Costa d’Avorio sia salita nelle posizioni di 15 posti, Congo e Libia sono indietreggiati di 25 e 17 posti rispetto all’anno precedente.
A occupare i primi posti assoluti continuano peraltro ad essere i Paesi scandinavi: per il quinto anno consecutivo è la Finlandia a mantenere il vertice seguita da Norvegia e Danimarca. Tra i Paesi dell’Unione Europea, ultimo posto per la Bulgaria (106). Male anche la Grecia alla 91esima posizione, dietro il Kuwait. La Francia conquista un posto in più rispetto all’anno scorso anche se la classifica non tiene conto dell’attacco alla redazione di «Charlie Hebdo».
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