L’una non è Kohl, l’altro non è Mitterrand, ma vedrete che, alla fine, il loro tentativo di mediazione con Vladimir Putin andrà a buon fine. Quando si saranno placati gli ardori dei falchi statunitensi e la volontà di menare le mani dei paesi baltici e dell’Est Europa, infatti, siamo abbastanza fiduciosi che prevarrà il buonsenso.
Perché una guerra non conviene a nessuno, e questo tutti gli attori coinvolti lo sanno. Non conviene all’Ucraina perché ne uscirebbe semplicemente devastata; non conviene alla Russia perché un inasprimento delle sanzioni europee potrebbe mettere seriamente a rischio la sua economia; non conviene, meno che mai, all’Europa perché diventerebbe il teatro di tensioni fortissime e dalle conseguenze imprevedibili e non conviene nemmeno agli Stati Uniti perché gli strateghi più accorti di quel paese sono ben coscienti del fatto che il massimo risultato possibile è la trasformazione dell’Ucraina in uno stato neutro mentre la pretesa di annetterla alla NATO, ossia il desiderio di stravincere e insidiare Putin fin sotto le finestre di casa, non ha alcuna possibilità di successo e, alla lunga, si rivelerebbe controproducente.
No, non conviene a nessuno “spezzare le reni alla Russia”: innanzitutto, perché è impossibile, come testimoniano le disfatte storiche di Napoleone e Hitler; in secondo luogo, perché un’eventuale disgregazione dell’Orso russo genererebbe un’instabilità planetaria, trattandosi di un’area grande quanto un continente, e di questa catastrofe gli unici a trarne giovamento sarebbero i tagliagole dell’ISIS; infine, ci sono valide motivazioni di carattere energetico e commerciale, le quali consigliano a tutte le parti in causa di abbassare i toni e sedersi intorno a un tavolo per giungere all’unica soluzione accettabile, ossia la neutralità dell’Ucraina, con la Crimea annessa alla Russia, la regione del Donbass nella sfera d’influenza del Cremlino e il resto del paese pienamente sovrano e caratterizzato da un’area di libero scambio sia con l’Europa sia con le potenze asiatiche, di cui la Russia, ovviamente, è la principale.
I diritti umani, certo: è una questione di cui non importa nulla a nessuno, un argomento che non pesa sui tavoli negoziali e sul quale Putin è l’ultimo interlocutore con cui confrontarsi ma un’Europa degna di questo nome non può ignorarli, facendo finta che non esistano o non abbiano alcun peso come è avvenuto finora. Una guerra, da questo punto di vista, sarebbe devastante, fra distruzioni, perdita di vite umane, odi, violenze indicibili e una barbarie nel cuore del Vecchio Continente che riporterebbe le lancette della storia indietro di settant’anni. Una sconfitta collettiva, una sconfitta della civiltà dalla quale nessun governo potrebbe uscire indenne agli occhi dell’opinione pubblica, figurarsi una Merkel all’ultimo giro di giostra o un Hollande che rischia di essere spazzato via, nel 2017, dalla pericolosa e arrembante avanzata di Marine Le Pen. Ma neanche Obama, il quale fortunatamente ne è cosciente: un’Europa in preda ai venti di guerra, difatti, sarebbe un continente instabile e sferzato dai populismi più disparati; un partner inaffidabile nel teatro mediorientale che sta da sempre a cuore agli americani, in quanto ne determina in parte gli equilibri economici; un alleato in ginocchio che rischierebbe di compromettere le esportazioni a stelle e strisce e un agevole terreno di conquista per un Califfato che ormai ha occupato anche la Libia e minaccia da vicino le nostre coste.
Nei giorni del suicidio dell’Europa, ci si pose la drammatica domanda se fosse il caso di morire per Danzica; oggi quasi nessuno si pone la domanda se valga la pena di morire per Kiev, per il semplice motivo che la storia qualcosa ha insegnato e un’escalation del conflitto, in un mondo globale, finirebbe col trascinare nel baratro l’intero sistema occidentale e col destabilizzare un alleato indispensabile se si vuole provare ad arginare l’avanzata dei veri nemici dell’umanità, contro i quali l’amministrazione Obama ha dato prova di essere pronta a stringere patti persino con un macellaio come Assad, ben sapendo che altre opzioni, al momento, non esistono.
Al vecchio asse franco-tedesco va il merito di essersi ricostituito nella fase cruciale della trattativa, di aver saputo accantonare i dissidi e le divergenze dei mesi precedenti e di aver restituito un minimo di spina dorsale a un’Europa tristemente silenziosa, complessivamente assente, tragicamente incapace di assumere una posizione comune su qualsivoglia argomento.
Merkollande come nei giorni in cui ci fu da salvare l’euro, Merkollande per sopperire al vuoto lasciato da Italia e Spagna, Merkollande perché oggi, con i loro innumerevoli limiti e difetti, sono gli unici due punti di riferimento di un quadro politico per il resto desolante. Bei tempi quando alla guida della Commissione europea c’era un italiano (Prodi) e il vertice internazionale per scongiurare l’inferno in Libano si svolgeva a Roma! Ci è rimasto solo Draghi, ma in questa vicenda non può e non deve entrare.