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La “buona battaglia” di Alexis Tsipras

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Poiché in questi giorni va tanto di moda la storia della famiglia Mattarella, perdonateci un paragone un po’ forzato ma comunque accettabile: la “buona battaglia” di Piersanti Mattarella contro il cancro mafioso che infestava e infesta tuttora la Sicilia non è poi così dissimile da quella che stanno combattendo, in Europa, il presidente greco Tsipras e il suo ministro delle Finanze, Varoufakis.

Perché la finanza internazionale che strangola i diritti e la dignità di interi popoli non solo non differisce, per tecniche e modalità, dalla mafia ma spesso è strettamente legata ad essa, sfruttando il suo strapotere economico e i rapporti perversi con la parte peggiore di una politica priva di identità, valori e della schiena dritta necessaria per riaffermare le ragioni degli esseri umani su quelle dello spread e dell’andamento dei mercati.
Sinceramente, pur stimando e apprezzando le idee di Tsipras, non siamo così convinti che ce la possa fare: troppi interessi si oppongono alle speranze del suo popolo, troppo denaro è in ballo perché i creditori possano piegarsi e in quegli ambienti non esiste pietà, non esistono considerazioni umanitarie, non importa nulla a nessuno del record di suicidi che ha sconvolto la penisola ellenica né del fatto che migliaia di bambini soffrano di denutrizione e si rechino a scuola senza aver fatto colazione. In quegli ambienti conta soltanto un Dio e non è quello limpido e portatore di pace e carità predicato da papa Francesco ma quello avido che viene fatto girare nelle banche e investito in borsa, quello che condiziona le sorti dei governi e impone leggi anti-popolari, quello che scatena guerre e morte per continuare a crescere nelle tasche di pochi farabutti, a scapito di tutta l’umanità, e quello di chi applaude ipocritamente le parole del pontefice, salvo poi tornare a fare l’opposto senza un minimo di vergogna.
Non sappiamo, dunque, se Tsipras e il suo singolare ministro, che viaggia in econmomy e si presenta con la camicia fuori dai pantaloni, riusciranno a far ragionare questa triste Europa di tecnocrati e banchieri; quest’Europa ancora convintamente liberista benché oltreoceano Obama stia facendo di tutto per mandare definitivamente in soffitta le pessime teorie dell’era Reagan; quest’Europa che è “Charlie” ed ebrea di fronte alle vittime delle due stragi di Parigi ma poi non dice una parola sulla tragedia degli ebrei che fuggono in Israele per scampare alle persecuzioni razziali e non batte ciglio di fronte alle leggi liberticide sull’informazione che un tempo ci indignavano ma ormai non fanno più neanche notizia, tanto ci siamo abituati alla prevaricazione e alla legge del più forte.
Consigliamo a Tsipras e Varoufakis di puntare sul pragmatismo, materia in cui entrambi hanno dato già discrete prove: non la cancellazione del debito, quindi, ma una sua dilazione legata alla crescita e non una lotta isolata ma un’alleanza con gli altri paesi del Mediterraneo, quel “Club Med” tanto caro a Prodi quanto ignorato da un Renzi che strilla in patria ma poi si piega alle richieste della Troika e spaccia il Jobs Act, liberista che più liberista non si può, per una grande riforma di sinistra.
La Grecia da sola è, oggettivamente, piccola e poco credibile, ma Grecia, Spagna e Francia costituiscono una porzione d’Europa che nemmeno i più agguerriti falchi del rigore possono ignorare, pena la distruzione dell’eurozona e il collasso di economie che devono la propria solidità attuale ai benefici derivati dall’introduzione della moneta unica.
L’ipotesi avanzata da opinionisti ed economisti di varia estrazione è che alla fine la Merkel punterà, a sua volta, sul pragmatismo, sfiderà gli ayatollah del rigore che imperano nei salotti buoni del suo paese e troverà un “modus vivendi” con un governo non certo amico, non certo voluto ma sicuramente frutto dell’ottusità della peggior classe dirigente tedesca dal dopoguerra.
Se le cose dovessero andare diversamente, se qualcuno dovesse illudersi che basti eliminare, in qualche modo, Tsipras per ricondurre Atene fra le braccia dei rigoristi, se davvero dovesse prevalere l’assurdità delle ricette del duo Weidmann-Schäuble anziché il buonsenso di Mario Draghi, se dovesse accadere una di queste cose, sappiano i nostri eroi che qualunque oppressore ha imparato storicamente, a sue spese, che non si può vincere contro un intero popolo e che la disperazione dei greci diventerebbe presto anche la nostra, con conseguenze che da pacifisti non vogliamo neanche prendere in considerazione perché sarebbero molto simili a una guerra civile europea dai risvolti imponderabili.
È una buona battaglia e come tutte le buone battaglie ha bisogno del sostegno dei cittadini e del convinto spirito riformista dei loro governanti, ricordandosi che le riforme non sono neutre e che la vera, grande differenza fra una sinistra matura e l’armata di liberisti che impera da trent’anni sta proprio nella considerazione che si ha delle persone: per noi costituiscono una priorità assoluta e irrinunciabile, per loro sono numeri o, al massimo, statistiche.


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