[Questo articolo è a firma di Giuseppe Fusco. Appassionato di diritti umani, giustizia sociale, comunicazione sociale e interculturale. Dopo una lunga esperienza in India, ha vissuto in Inghilterra e ha passato diversi anni in Kenya, Tanzania, Ghana – dove tuttora vive. Oltre all’impegno come volontario, è stato coordinatore di progetti. Svolge attività di insegnamento e traduzioni. Scrive soprattutto di abusi e ingiustizie.]
Siamo nel ventunesimo secolo e il mercato di esseri umani, la tratta degli schiavi è un fenomeno ancora e ampiamente presente. Milioni sono le vittime. È addirittura la terza attività illegale più lucrativa nel mondo dopo droga e armi. Si stima che il traffico di esseri umani renda ai criminali circa 32 miliardi di dollari annui. Tutto ciò sembrerà strano. È assurdo. Ma assolutamente e scandalosamente vero.
L’articolo 4 della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” vieta ogni forma di schiavitù e di conseguenza la tratta degli schiavi
Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.
Nel 1981 la schiavitù viene abolita (ufficialmente) anche nell’ultimo Paese che ancora la accettava legalmente, la Mauritania.
Il traffico di esseri umani è definito dall’articolo 3 del Protocollo delle Nazioni Unite per prevenire, sopprimere e punire la tratta delle persone, in particolare di donne e bambini
“Tratta di persone” indica il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha l’autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi;
Nello stesso articolo si chiarisce che, nel caso sia stato usato qualunque dei mezzi indicati, il consenso della vittima è irrilevante (è da considerare sempre tratta). E ancor più, i bambini (in questa caso, qualunque persona minore di 18 anni) sono considerati ugualmente vittime di tratta se reclutati, trasportati, trasferiti, ospitati o accolti per essere sfruttati anche senza coercizione, inganno, o qualsiasi forma di abuso.
Con questa ampia definizione si cerca così di far fronte ad un problema molto complesso e diversificato. Si cerca di includere tutte le varie sfaccettature. Per quanto possibile.
Il fenomeno della tratta di esseri umani colpisce ogni angolo della terra e non fa discriminazione di età, sesso, etnia, ecc.
Tenendo ovviamente conto che c’è una grande realtà sommersa, possono essere molto indicativi alcuni dei dati pubblicati nel “Rapporto Globale 2014 sulla Tratta di Persone” .
Il 72 per cento dei trafficanti condannati sono uomini e il 28 per cento donne. In generale, nonostante la mobilità internazionale sia alta, il traffico di esseri umani avviene più spesso all’interno del Paese di origine. È più economico e richiede meno organizzazione. Inoltre la maggior parte dei condannati per traffico di esseri umani sono cittadini del Paese in cui sono stati condannati (64 per cento).
C’è da notare che nonostante progressi legislativi della maggior parte delle nazioni (90 per cento), grazie al “Protocollo per prevenire, sopprimere e punire la tratta delle persone”, a volte le leggi sono incomplete e comunque l’impunità resta molto alta. Si calcola che circa 2 miliardi di persone vivono in una situazione in cui il traffico di esseri umani non è criminalizzato in modo appropriato, conforme al Protocollo.
Vittime di 152 nazionalità sono state identificate in 124 paesi di destinazione. Tra queste il 49 per cento sono donne, il 18 per cento uomini, il 21 per cento bambine e il 12 per cento bambini. Negli ultimi anni la proporzione di vittime minorenni è aumentata.
Lo scopo è sempre lo sfruttamento e può avere varie forme. Sfruttamento sessuale e lavoro forzato sono quelle scoperte più frequentemente. La categoria del lavoro forzato è molto ampia e include, tra l’altro, l’industria manifatturiera, le pulizie, il settore edile, quello agricolo, la produzione tessile, la ristorazione, e la servitù domestica. Altre ragioni per il traffico di esseri umani sono la rimozione di organi, l’accattonaggio, la pornografia (anche quella in rete), i matrimoni forzati, la vendita di bambini, le adozioni illegali, commettere crimini vari, truffe per ottenere indennità, combattimenti armati (bambini soldato), riti magici.
Tra le conseguenze che le vittime soffrono ci sono lesioni fisiche, problemi psicologici, isolamento sociale, problemi legali, e molto altro. Drammi che lasciano il segno per tutta la vita. E nel caso dei bambini spesso condizionano negativamente anche il loro futuro. Quanti riusciranno a liberarsi dalle catene? Sarà possibile recuperarli?
Con il Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 24, “Prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e protezione delle vittime”, l’Italia ha dato attuazione alla direttiva europea 2011/36/UE su questo grave reato che viola i più fondamentali diritti umani.
Il Dipartimento per le Pari Opportunità ha istituito tempo fa il Numero Verde Nazionale Antitratta 800 290 290. Gratuito, anonimo e multilingue.
Non è semplice colpire ed eliminare la vergogna della tratta di schiavi. Certamente colpire i trafficanti è un passo importante. Così come chi si rivolge a loro o usa le vittime alimentando il traffico. Allo stesso tempo è importante la prevenzione. In ciò l’informazione ha un ruolo importante. Deve renderci consapevoli delle nostre responsabilità. Magari anche farci chiedere qual è l’origine dei prodotti che compriamo. Oppure chi sono le persone che vediamo e che svolgono determinate attività o lavori.
Dovremmo essere più attenti a chi ci passa davanti, denunciare i casi di cui veniamo a conoscenza. Il silenzio ci rende complici, perché questo è un fenomeno che ci riguarda. Anche in prima persona. E non è detto che un giorno la vittima non possa essere qualcuno che ci è vicino o addirittura noi stessi.