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L’elezione di Mattarella e la nostra comunicazione politica e giornalistica

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#MattarellaPresidente probabilmente è una buona notizia per l’Italia, forse addirittura ottima, ma rischia di essere una piccola catastrofe per la nostra rissosa comunicazione politica e giornalistica. La sua candidatura è emersa solo alla fine, anche se il suo nome appariva e scompariva nei listini che giornali e televisioni, con la complicità della politica, compilavano nel corso delle ultime settimane. Non era certo il prediletto, perché risultava estraneo al gioco al massacro ormai innescato. Il suo nome, infatti, era poco coerente con il tormentone mediatico e politico sul “patto del Nazzareno”, diventato una sorta di discriminante ideologica per interpretare tutte le vicende recenti della politica italiana.
Matteo Renzi, ha sempre sostenuto che il patto fosse limitato alle riforme istituzionali, ma nessuno gli ha creduto. Berlusconi vi si è aggrappato disperatamente, illudendosi di partecipare sia al governo sia –soprattutto – all’elezione per il Quirinale. Il patto del Nazzareno è diventato una sorta di pozzo nero per la sinistra del Pd, che lo rinfacciava con ostinazione a Matteo Renzi, dimenticando che era stato l’inevitabile conseguenza delle “larghe intese” inaugurate da Letta dopo la sconfitta di Bersani nel febbraio 2013. Se la Lega si è chiamata fuori da tutto, salvo che dalla sua alleanza con Marine Le Pen, il patto del Nazzareno è stato demonizzato dal M5S, come dimostrazione di un eterno inciucio tra destra e sinistra e per ribadire la sua diversità ontologica dalla vecchia politica, dimenticando di essere stato il vero artefice di questo patto contro natura, rifiutando qualsiasi possibile dialogo.

I media, da parte loro, ci hanno sguazzato dentro, considerando irrilevanti o mendaci le dichiarazioni di Renzi e Serracchiani a riguardo. Nel frattempo varie forze politiche si sono messe a giocare come bambini delle elementari con il momento istituzionalmente più importante della Repubblica, candidando Magaldi, Feltri, e addirittura Bersani, tanto per fare qualche dispetto. E i mass media sono caduti clamorosamente nel giochino di una politica senza responsabilità. Autorevoli commentatori si sono baloccati con la maledizione dei 101, mefistofelicamente rievocati da Fassina. Il premier in carica è stato presentato come svolazzante sull’orlo di una crisi innescata dai trabocchetti concentrici della sinistra Pd, del M5S e dalla conciliante attesa dell’ex Caimano in agguato. Quasi nessuno aveva previsto che Matteo Renzi facesse esattamente quello che aveva promesso. Ha rifiutato di presentare terne che avrebbero scatenato un gioco al massacro secondo il modello X Factor. Ha fatto un ampio giro di consultazione per delineare la fisionomia che avrebbe dovuto avere il nuovo presidente della Repubblica: un politico esperto di questioni istituzionali, ma capace di avere un ruolo di arbitro al di sopra delle parti.

Forse è stata astuzia, forse senso dello stato, che pochi nei mass media e tra gli avversari politici gli accreditano. Alla fine ha proposto una figura tanto perfetta per la sua biografia politica ed istituzionale, quanto lontana dal suo stile comunicativo, ma così ha vinto tutta la posta in gioco.
Adesso abbiamo un nuovo presidente della Repubblica che appartiene a quel cattolicesimo democratico che rassomiglia, per rigore e severità, al calvinismo nord europeo. Un galantuomo, una persona dalla schiena dritta, di poche parole e tanto pensiero, intransigente sui principi e sul rispetto della Costituzione. L’esatto contrario della politica rissosa, sguaiata e volgare che troppo spesso abbiamo visto dilagare in Parlamento. Se la sobrietà e il rigore entreranno nei palazzi del potere, e magari anche nelle piazze televisive, allora sarà davvero una rivoluzione culturale, e pazienza se per i mass media sarà meno “divertente”.


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