E’ il primo Congresso della FNSI a cui partecipo come delegato. Uno dei più difficili, questo il parere dei delegati più anziani. Complicato per il futuro che il mondo della comunicazione si trova ad affrontare. Complicato perché questa professione è cambiata ed è fatta, per lo più, da giornalisti freelance, liberi professionisti e non contrattualizzati. E il sindacato ci ha messo troppo tempo a capirlo. Un poco come i sindacati confederali con il vasto mondo del precariato.
Per me, che conservo ben chiaro il mio “chi ero” fino a qualche anno fa (freelance) e il “chi sono” di ora (giornalista precario in Rai ma comunque già garantito), è estremamente chiaro che questo cambiamento rappresenta una delle principali novità. E sono convinto che si debba essere capaci di lavorare insieme senza metterci su fronti opposti perché per la prima volta, in assoluto, il gap di garanzie tra i primi e i secondi si sta riducendo davvero.
Franco Siddi, segretario uscente, ha citato il rapporto della Federazione Nazionale della Stampa con Articolo 21. Una collaborazione che non ha mai superato un confine che noi, in Articolo 21, abbiamo sempre sostenuto. Il sindacato è una cosa. Articolo 21 è un’associazione che difende la libertà di stampa ma non è mai stata e mai sarà una componente sindacale.
Ma Articolo 21 ha la capacità di lanciare messaggi di allerta, anche al sindacato. Dentro Articolo 21 ci si sta, ed è una delle cose più belle, con profondo senso critico. Anche perché nessuno, all’interno dell’Associazione, ha mai intestato ad articolo 21 una linea politica che, al contrario, è stata sempre frutto del confronto. Chi ci conosce lo sa. Cultura comunista, socialista, cattolica e liberale all’interno dell’associazione hanno convissuto e si sono confrontate con un’unica guida comune: la Costituzione e l’articolo 21. E se la linea politica di un’associazione è frutto di un confronto, il confronto non manca mai.
Per esempio io, da freelance, ero molto critico quando si difendevano 24 ore su 24 Michele Santoro ed Enzo Biagi cacciati dalla Rai. Sostenevo che era giusto difenderli ma che c’era un mondo senza difesa rappresentato dai giornalisti precari, dai freelance, da chi era privo di qualsiasi garanzia ai quali davamo poco spazio. E tanto Beppe Giulietti quanto Federico Orlando o Tommaso Fulfaro ci spiegavano che se fosse passata l’idea che si poteva censurare, cacciare e stilare liste di proscrizione in cui compaiono giornalisti noti, di tutti noi, precari, freelance e non garantiti, si poteva fare carne da macello.
Per questo dico che proprio oggi che il gap tra garantiti e non garantiti si riduce in modo estremo per il duro attacco congiunto a diritti e lavoro, una divisione sarebbe un disastro per tutti. In un’Italia in cui passa la logica che la conquista dei diritti si ottiene togliendoli a chi li ha descrivendoli come privilegi, si presterebbe il fianco a chi vuole creare una guerra tra lavoratori che porterà alla sparizione dei corpi intermedi – come i sindacati – e alla fine di qualsiasi risposta “collettiva” alle politiche di diminuzione dei diritti di tutti i lavoratori.
Per questo i nuovi dirigenti sindacali si troveranno a dover difendere congiuntamente l’articolo 21 della Costituzione (quello del diritto ad essere informato e ad informare) e l’articolo 4 della Costituzione (quello di un lavoro che deve essere uno dei diritti fondamentali), la difesa dei diritti più ampi dei lavoratori e l’unità sindacale. Dico unità e non unanimismo.
Ed allora penso che si possa siglare un nuovo patto, come nel passato, anche con Articolo 21 per continuare sulla stessa strada. E, personalmente, mi piacerebbe ascoltare in congresso, come è accaduto sempre, la voce di Articolo 21 e di chi l’ha sempre rappresentata come portavoce, Beppe Giulietti. Oggi, molto più che nel passato, va definita una strategia comune. Oggi, molto più che nel passato, gli aspetti sindacali legati alla difesa “del lavoro” si confrontano con quelli dell’associazione sulla difesa “dei diritti” e diventano un tutt’uno. E, insieme ad articolo 21, le altre associazioni che si occupano dei diritti ad informare e ad essere informati.
Un giornalista senza articolo 18 sarà meno libero. Un giornalista precario è meno libero, un giornalista senza editore e senza garanzie è meno libero e imbavagliabile. Un giornalista che lavora per un editore che privilegia altri interessi è meno libero. Una legge come quella sulla diffamazione è peggio della precedente. Un’informazione che viene azzoppata nel racconto delle vicende giudiziarie è meno libera. Un settore in crisi e l’assenza di un editore puro uccide l’informazione. L’assenza di un fondo statale per l’editoria ammazza il lavoro e il pluralismo. Una Rai senza governance che la liberi dalla politica è moribonda. Una Rai che venisse ristrutturata e che perda occupazione manderebbe in crisi gli istituti della professione. Una riforma del servizio pubblico decisa da un governo potrebbe essere mortale. L’assenza di una legge sul conflitto di interessi uccide anche il pluralismo.
Forse è anche per questo che ho scelto, da fondatore di Articolo 21, l’impegno sindacale. Perché ora le battaglie diventano davvero comuni e tutte tese alla salvaguardia di un bene come quello dell’informazione.