I fatti sono noti: Cofferati sbatte la porta del Pd accusando il partito di colpevole silenzio “sull’inquinamento delle primarie della Liguria da parte del centrodestra”. Poi è il turno dei due vicesegretari: la Serracchiani dichiara: “Non si può fare parte di una comunità politica dicendo: se vinco resto, se perdo me ne vado”. Lorenzo Guerrini aggiunge che la scelta dell’ex segretario generale Cgil è “inspiegabile”. Renzi conclude affermando che “non si va via da un partito perché si perde”.
In sostanza, davanti alla denuncia di Cofferati di un inquinamento delle primarie, cioè della persistenza di una “questione morale” interna al Pd, il gruppo dirigente fa spallucce irridendo il denunciante e sostenendo che la ragione per cui questi ha lasciato il partito va ricercata esclusivamente nella sua sconfitta. Insomma, Cofferati non sa perdere.
Molti su questo tema hanno scritto, mettendo in luce varie questioni: la gravità della compravendita di voti o, viceversa, la strumentalità della scelta di Cofferati, o, ancora, la chance che si apre per la sinistra di dar vita, finalmente con un leader, a una nuova formazione politica.
Val la pena soffermarsi su di un altro aspetto della questione.
A metà gennaio il Guardasigilli Andrea Orlando afferma che il fenomeno della corruzione ha raggiunto “dimensioni intollerabili anche per il suo intreccio con strutture di tipo mafioso”. Gli fa immediatamente eco Raffaele Cantone, presidente dell’Authority Anticorruzione, che definisce “stabile e duratura” la corruzione in Italia e prefigura una politica di “riduzione del danno” essendo realisticamente impossibile, a suo avviso, eliminare radicalmente il fenomeno. Insomma, una situazione molto grave, come peraltro già segnalato nel Corruption Perception Index 2014: “L’Italia è prima per corruzione tra i Paesi dell’Ue”.
Le reazioni del gruppo dirigente Pd alla denuncia di Cofferati confermano che il fenomeno corruttivo, più precisamente la “questione morale”, è ancora e pienamente squadernato sul terreno della politica, non solo in ragione dell’inquinamento delle primarie in Liguria, ma anche – forse specialmente – per l’evidenza di tali reazioni. Come può un partito, che si scopre un mese prima coinvolto nello scandalo di mafia-Capitale e che di conseguenza urla ad alta voce “Mai più!”, ritrovarsi un mese dopo nello scandalo delle primarie truccate e reagire minimizzando e dileggiando chi ha denunciato lo scandalo?
Da ciò una conclusione di irriformabilità del Pd: non si tratta tanto di chissà quale predisposizione antropologica, che ovviamente non sta in piedi, quanto del portato di un modo e di un contenuto di far politica lontano dall’urgenza di trasparenza e partecipazione che dovrebbe essere la base di qualsiasi ragionevole riforma della politica stessa, ed invece molto vicino al degrado della politica-show, dove cambia tutto a cominciare dai codici del linguaggio, come quando alla dichiarazione si sostituisce il tweet, alla polemica il dileggio (“Fassina chi?”, disse Renzi), alla riflessione la propaganda becera (“Paradossalmente le famiglie italiane si stanno arricchendo”, ancora il presidente del Consiglio). E’, in sostanza, il Pd che parla di se stesso.
A ben vedere, è lo stesso tallone d’Achille della proposta di nuova legge elettorale e di riforma del Senato, ove la prima non garantisce la rappresentanza piena e la seconda elimina di fatto una delle Camere elettive previste dalla Costituzione.
La palla torna quindi al centro, e cioè al tema della riforma della politica e della sua drastica e irreversibile separazione da ogni interesse personale o di cordata; insomma, occorrerebbe che si operasse per gli affari della politica e non per la politica degli affari.
Renzi ad ogni piè sospinto si fa forte dei risultati ottenuti da lui alle primarie e dell’esito delle elezioni europee; eppure i sondaggi, prima così lusinghieri per l’estroverso ex sindaco, hanno cambiato verso, mentre l’Italia no. Ha dunque ragione Michele Serra quando, nella sua “Amaca”, scrive: “Gravi, molto gravi, sono le accuse e i sospetti che gravano su quelle primarie, e su altre precedenti: non dunque su Cofferati, ma su chi rimane. È sconcertante la sbrigativa disinvoltura con la quale il nuovo Pd parla di se stesso. Non dei suoi avversari: di se stesso”.