La Costituzione italiana definisce i contorni della figura del Presidente della Repubblica nel Titolo II della Parte II della Carta, in ben diciotto articoli, dal n.83 al n.91. E’ una ben tratteggiata figura nevralgica della e nella divisione dei poteri, un vero Garante dell’unità nazionale. Ecco, qui sta l’ambiguità a tratti dolosa del dibattito in corso: l’evocata unità nazionale non ha niente a che vedere con le “larghe intese”. E tantomeno con l’ormai leggendario “Patto del Nazareno”, quest’ultimo divenuto una sorta di ipertesto, un ammiccamento generale: il partito della nazione. Una sorta di pensiero unico. L’unità evoca la tenuta della società, a partire dalle aree deboli e meno protette. Che l’elezione del nuovo Presidente sia la rottura di una simile decadenza istituzionale, rappresentando –per converso- l’inizio del riscatto democratico. La Costituzione è ormai sempre più calpestata, come si vede dalla (contro)riforma del Senato, dalla revisione assai poco migliorativa della già aberrante legge elettorale in vigore. Si sono pronunciate numerose associazioni al riguardo e –non dimentichiamolo- il 12 ottobre del 2013 sfilarono migliaia di persone convocate da un bellissimo appello lanciato –tra gli altri- da Rodotà, Zagrebelsky, Bonsanti, Carlassare, Landini, don Ciotti. Da ultimo, è stato diffuso un efficace ed autorevolissimo documento dell’Anpi.
Ora, quindi, si riprenda il discorso da lì, non da qualche intesa sancita o benedetta “privatamente” dal Partito democratico e da Forza Italia.
Insomma, il Presidente (e non sembri un paradosso) deve essere di parte, nel senso della tutela attiva della Costituzione e dei diritti dei cittadini. Di parte pure nel senso di spingere il sistema politico ad occuparsi dei vari tabù italiani: la legge sul conflitto di interessi, le misure concrete contro la povertà, la parità di genere, l’equità fiscale, il falso in bilancio, e così via. “Di parte” e non farisaicamente “super partes”, come viene detto con moderno artificio semantico per evocare forme e occasioni di “larghe intese”.
Prima di sciorinare il rosario dei nomi, possibilmente da bruciare secondo la moda del tempo, è essenziale capire su quali valori e culture politiche si baserà il prossimo Primo cittadino. In uno Stato mai divenuto realmente Nazione. L’elezione del Presidente è, insomma, l’occasione per rompere la gelatinosa sovrastruttura che si è imposta in Italia, un anestetico che copre una conflittualità diffusa ma che non trova rappresentanza. Forse, proprio dall’appuntamento di fine gennaio verrà qualche novità. L’attuale morfologia del sistema è insieme prepotente e impotente. “Dura minga, dura no”, diceva una brillante pubblicità del vecchio Carosello. Appunto. Si volti pagina. E su quell’identikit, qualche volto si appalesa…