Quando il leader dei socialisti francesi Cambadelis lanciò l’idea della “Marcia dei repubblicani” a poche ore dall’eccidio della redazione di Charlie Hebdo, non poteva certo immaginare quel che sarebbe diventata, domenica 11 gennaio, e quale straordinario significato simbolico avrebbe avuto per il mondo intero.
Di Pino Salerno
Al termine della Marcia, infatti, è lo stesso Ministro degli Interni francese, Cazeneuve ad ammettere l’impossibilità di fornire cifre ufficiali. Il quotidiano Le Monde parla di almeno due milioni di persone che hanno sfilato da Place de la Republique a Place de la Nation. Per Liberation, che mostra una foto presa dall’elicottero, la fiumana di persone ha raggiunto i tre milioni. Di certo, dal giorno della Liberazione di Parigi, il 25 agosto del 1944, non era mai accaduto che tanta gente si riversasse per le strade, con sentimenti evidentemente diversi, ma non del tutto opposti. “Parigi è la capitale del mondo”, ha detto il presidente francese Francois Hollande, ed ha avuto ragione. Parigi è un simbolo di civiltà, anzi è il luogo dove la civiltà occidentale contemporanea ha avuto inizio con l’Illuminismo, nel XVIII secolo, ed è per questo che è stata colpita da fanatici e psicopatici fondamentalisti. Ma è anche per questo che tutto il mondo, oggi, era Parigi, basti pensare che secondo alcuni calcoli, più di un miliardo e mezzo di persone hanno seguito la Marcia in diretta televisiva.
Dunque, Parigi. È a Parigi, con l’Illuminismo, che è sorta, finalmente, la grande civiltà giuridica laica europea, quella che distingue il diritto dalla religione, il reato dal peccato. Per noi, educati alla cultura occidentale, razionale e laica, liberale e libertaria, è perfino banale dirlo: distinguere il diritto dalla religione significa distinguere ciò che è reato da ciò che è peccato. Significa distinguere una società aperta da una società teocratica. Era questo il senso dell’appello di Cambadelis alla Marcia dei Repubblicani. Ma era anche questo il primo intendimento fortemente simbolico che ha spinto i terroristi radicali e psicopatici a compiere quei massacri. Questo è il primo messaggio che proviene dalla Parigi ferita che ha saputo e voluto riprendersi, grazie all’intelligenza politica, e diciamolo, culturale, di Francois Hollande. In altri Paesi, forse, si sarebbe agito diversamente, riducendo la sfida a questione di “ordine pubblico”, banalizzandola, assumendola soprattutto come un affare interno. A Parigi no, è stata scelta un’altra strada, la migliore tra tutte, e la scelta ha avuto successo, e non solo per la quantità incommensurabile delle persone che hanno sfilato nel centro della capitale. Grazie a quella tradizione illuministica, Parigi, la Francia intera, ha fatto appello al mondo, e il mondo ha risposto: non possiamo essere ricacciati indietro di secoli dalla follia omicida e dal ricatto culturale. Ecco perché accanto a milioni di persone hanno sfilato uno accanto all’altro governanti che si odiano, o che si combattono apertamente, come è il caso di Lavrov, ministro degli Esteri russo, e Poroshenko, presidente dell’Ucraina, oppure del premier israeliano uscente Netanyahu e il leader palestinese Abu Mazen, oppure ancora i leader dell’enorme arcipelago africano, sanguinante per guerre, carestie, soprusi, corruzione dilagante. La lezione parigina è stata compresa anche dai leader delle tre religioni monoteiste: vescovi accanto a rabbini accanto a imam (bellissima la scena dell’applauso degli ebrei nella grande Sinagoga, rivolto all’imam di Dracy, Chagoumi, per aver portato là il cordoglio della comunità mussulmana ai parenti delle vittime del supermercato kosher). Come giustamente ha detto il premier francese Manuel Valls, “occorre che lo spirito dell’11 gennaio viva per sempre”. E qual era lo spirito? La laicità, la società aperta, la ragione, il diritto. Il caporedattore della rivista Charlie Hebdo ha commentato col solito straordinario irriverente sarcasmo ad un giornalista: “se 50 delegazioni estere volevano venire a celebrare la laicità, va molto bene… sono stato contento che certi capi di stato non abbiano sfilato dinanzi a noi perché non avrei voluto stringere loro la mano. Ma sono stato onorato di stringere la mano di Francois Hollande, presidente della Repubblica. Gli ho detto che contiamo su di lui per non cedere sulla laicità”.
E qui torniamo a Charlie Hebdo, al massacro in cui hanno perso la vita quattro disegnatori, un economista e tre collaboratori della rivista. Gli attentatori avevano colpito un simbolo della laicità francese con la “censura del kalashnikov”. Terrorismo puro, che colpisce i simboli, al di là del numero delle vittime. E Charlie Hebdo è divenuto il simbolo mondiale non solo della libertà di espressione (una delle piazze di Parigi è stata ribattezzata domenica da alcuni anonimi Place de la libertè d’expression) ma appunto di quella laicità dello stato in una società aperta di cui ancora parlava il caporedattore come di una conquista fondamentale. Chiunque abbia attentato contro la rivista, lo ha fatto con un intento preciso: tornare indietro di secoli. L’attentato contro Charlie Hebdo conteneva questo messaggio al mondo e alla cultura francese, e occidentale: la vostra laicità, che ha prodotto la libertà di parola, sarà spazzata via con la violenza e la morte. Come hanno risposto i francesi, e come abbiamo risposto in tutto il mondo? Alzando il segno della civilizzazione. Risiede qui la differenza con l’11 settembre di New York, non solo sul piano quantitativo, ma simbolico. La risposta americana di Bush fu la lunghissima guerra iniziata nel 2003 combattuta in Medio Oriente, che produsse altre migliaia di morti. La risposta, razionale, libertaria, laica, di Hollande, di Parigi, dei francesi è stata lo “spirito dell’11 gennaio”. Per questo nei giorni scorsi tutti noi abbiamo detto e scritto “Je suis Charlie”, Io sono Charlie. Per questo, l’11 gennaio milioni di persone in Francia e nel mondo hanno continuato ad alzare matite e a dirsi “je suis Charlie”. Davanti all’orrore, non c’è che una risposta: continuare a credere nella società aperta, nello stato laico e plurale, nel diritto.
Infine, una splendida scena al termine della Marcia dei repubblicani. Verso le 20.45, a Place de la Nation, ormai quasi vuota, una banda continuava a suonare, infaticabile. Attorno ai musicisti, duecento persone, dolce odore di tabacco, che fa ridere. Verso l’esterno della piazza, alcuni adolescenti si erano piazzati dinanzi alle telecamere delle tv francesi, ancora in fase di dirette. Tirano fuori bandiere francesi. Dopo un attimo, ecco che esce una bandiera palestinese. Passano ancora pochi secondi, ed ecco un altro adolescente che si infila tra loro, con una bandiera israeliana grida nel microfono televisivo: “pace tra arabi ed ebrei!”. Ecco, lo spirito dell’11 gennaio è in questa piccola scena di alcuni adolescenti a Parigi.
Da jobsnews.it