Quattro palestinesi morti a causa del freddo che aggrava le conseguenze dell’attacco israeliano della scorsa estate e della mancata ricostruzione. L’Egitto annulla la decisione di riaprire il valico di Rafah, Hamas e Fatah si accusano a vicenda.
Troppi gli assedi che la Striscia di Gaza è costretta a subire. A cinque mesi dalla fine della peggiore offensiva israeliana di sempre, Margine Protettivo, e a tre mesi dalla conferenza dei donatori del Cairo, l’emergenza è cronica. Gli effetti della mancata ricostruzione si vedono nelle conseguenze dell’ondata di gelo e pioggia di questi ultimi giorni. E la risposta delle fazioni palestinesi è nulla.
Sono quattro i morti nella Striscia per il freddo: tre bambini e un giovane pescatore. Sabato una neonata di due mesi, Salma Zeidan al-Masri, ha perso la vita nel rifugio per profughi creato a Beit Hanoun, villaggio completamente distrutto dalle bombe israeliane. Poche ore prima era stato trovato senza vita il 22enne Ahmad Sufian al-Lahham. Venerdì a morire per il freddo erano stati i neonati Adil Maher al-Lahham, un mese, e Rahaf Abu Assi, due mesi, la cui famiglia è costretta a vivere nello scheletro della propria casa a Rafah, quasi del tutto demolita dai raid israeliani della scorsa estate.
A sud di Gaza le strade sono allagate, in tutta la Striscia l’elettricità è disponibile solo per quattro ore al giorno, rendendo quasi impossibile scaldare le abitazioni rimaste in piedi, le case mobili e i rifugi per i profughi. Il carburante non entra da Israele, se non in piccole quantità, insufficienti a coprire i bisogni di un milione e 800mila persone. Anche per questa ragione Hamas ha invitato ieri nella Striscia tutte le fazioni politiche palestinesi, per discutere della crisi di elettricità, della mancata ricostruzione e della questione dei dipendenti pubblici.
Dalla riunione d’emergenza è uscito un appello al governo di unità nazionale, nato lo scorso aprile dopo un accordo tra Hamas e Fatah: l’esecutivo tecnico non sta portando avanti i propri doveri a Gaza, un’inefficienza che aggrava gli effetti dell’assedio israeliano e il mancato arrivo delle donazioni internazionali (ad oggi è stato effettivamente consegnato solo il 2% dei 5,3 miliardi di dollari promessi dalla comunità internazionale) . A ciò si è aggiunta la richiesta di indire a breve le elezioni politiche, in stallo dal 2010.
A monte lo scambio di accuse tra Hamas e Fatah, la cui riconciliazione è apparsa fin da subito un matrimonio d’interesse e non certo d’amore. Hamas ha bisogno del sostegno dell’Anp per ricostruire Gaza e farla uscire dalla crisi economica dovuta all’isolamento del movimento islamista dopo la caduta dei Fratelli Musulmani in Egitto; Fatah in drastico calo di consensi necessita di mostrarsi alla popolazione palestinese come una forza credibile e impegnata nella resistenza all’occupante israeliano.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: il presidente Abbas non perde occasione per accusare Hamas di aver trascinato Gaza nel confronto con Israele e di essere indirettamente responsabile del massacro; Hamas – da parte sua – rimprovera all’Anp di Ramallah il mancato pagamento degli stipendi di 43mila impiegati pubblici, un modo per far crollare il consenso verso il movimento islamista nell’enclave palestinese.
E se non bastassero maltempo, assedio e faide interne, a schiacciare la popolazione civile di Gaza ci si mette pure l’Egitto, da oltre un anno impegnato a distruggere Hamas, considerato tra i responsabili dell’instabilità nella penisola del Sinai. Questa mattina il Cairo ha cancellato la decisione di aprire il valico di Rafah, tra Gaza e Egitto, per tre giorni a seguito del rapimento di un funzionario della sicurezza egiziano in Sinai. A pagarne le spese sono malati, studenti, civili che da mesi attendono di uscire dalla Striscia attraverso l’unico vero collegamento con il mondo esterno, l’unico vero strumento per alleviare l’assedio israeliano.
Ma la politica del presidente egiziano al-Sisi è chiara: imporre un secondo assedio su Gaza per spezzare la resistenza del nemico Hamas, braccio palestinese dei Fratelli Musulmani contro i quali il Cairo ha avviato una durissima campagna di repressione. Uno dei mezzi è la creazione di una zona cuscinetto lungo il confine, attraverso la demolizione delle case egiziane che si trovano entro i 500 metri dalla frontiera con Gaza. Negli ultimi giorni è partita la distruzione di altre duemila abitazioni, dopo che 800 strutture erano già state rase al suolo nelle settimane precedenti.
Da perlapace.it