La violenza che ha colpito Charlie Hebdo viene da lontano

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“L’attacco sanguinoso contro Charlie Hebdo ci fa ripiombare in un passato drammatico e doloroso, carico di paura e di angoscia”. Sono parole di Omar Belhouchet, direttore del quotidiano algerino in lingua francese  El Watan. Belhouchet sa bene che cosa significa vivere con la paura addosso e rischiare la morte solo a causa del proprio lavoro di giornalista. Durante gli anni Novanta, quando l’Algeria fu insanguinata dal terrorismo, Belhouchet sfuggì ad almeno un paio di attentati. Sua moglie morì di crepacuore.

Per incontrare Belhouchet nella redazione di El Watan bisognava passare controlli di sicurezza e  superare porte di ferro. Quando si spostava in auto, Belhouchet faceva ogni volta percorsi diversi, spesso dormiva fuori casa. “Ci domandiamo ancora oggi”, dice Belhouchet, “come abbiamo potuto resistere al rullo compressore dei terroristi islamici, ma bisognava resistere per preservare uno spazio minimo di espressione, testimoniare la realtà atroce nella quale il nostro Paese era precipitato, descrivere le sofferenze della popolazione”.

La violenza spietata che ha colpito la redazione di Charlie Hebdo a Parigi viene dunque da lontano, affonda le sue radici proprio nel decennio di sangue dell’Algeria. E ci ricorda che nel mirino dei terroristi, forse prima ancora che l’Occidente o l’Europa, ci sono la libertà di pensiero e di espressione. In primo luogo dei musulmani che vogliono pensare con la loro testa e magari praticare la loro fede senza farsi accecare dal fanatismo.
Secondo Belhouchet, fra il 1993 e il 1998 i terroristi algerini del Gia, braccio armato del Fis (Fronte Islamico di Salvezza),  e i gruppi salafiti uccisero 70 giornalisti. Per la Federazione internazionale dei giornalisti la cifra sale a 100. A parte un operatore televisivo francese ucciso in un agguato nella casbah di Algeri, tutti i morti furono algerini, arabi, musulmani.

Per l’Algeria fu uno stillicidio di lutti. Nessuna redazione fu assalita come è accaduto a Parigi il 7 gennaio. Gli agguati furono in gran parte individuali. Il primo a cadere fu Tahar Djaout, direttore di Ruptures, il settimanale da lui fondato un anno prima. I terroristi gli spararono alla testa il 26 maggio 1993, mentre egli usciva dalla redazione. Morì dopo 8 giorni di agonia. Nello stesso anno caddero altri 8 giornalisti.

Nel 1994 le vittime furono 24, firme di quotidiani, settimanali, radio, televisioni.  Uomini e donne, direttori, capi redattori, semplici redattori, fotografi. L’anno più nero fu il 1995, con 40 morti. Tra loro anche un caricaturista, Brahim Guerroui, che pubblicava vignette per il giornale El Moujahid. Guerroui aveva 44 anni, spesso disegnava  fumetti anche per i bambini e nel 1982 era stato premiato al Salone internazionale dei Comics di Lucca. Anche il 1996 fu un anno pesante, con 21 omicidi. Nel 1997 gli ultimi cinque caduti.  All’elenco vanno aggiunti due giornalisti scomparsi fra il 1995 e il 1997, di cui non si sa più nulla.

Fonte: Famiglia Cristiana


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