Papa Francesco, una ventina di giorni fa, in un messaggio per la 48ma Giornata mondiale per la pace (celebrata il primo gennaio 2015 sul tema “Non più schiavi ma fratelli”), aveva voluto ricordare, ancora una volta, con forza “..le condizioni di vita di molti migranti che, nel loro drammatico tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente..” non mancando di sottolineare “…le diverse circostanze sociali, politiche ed economiche che spingono alla clandestinità ..”.
Francesco, in un passaggio di questo suo accorato messaggio, ha mosso condivisibili e legittime critiche anche a tutti i paesi in cui “..le legislazioni nazionali creano o consentono una dipendenza strutturale del lavoratore migrante rispetto al datore di lavoro, ad esempio condizionando la legalità del soggiorno al contratto di lavoro..”. Una staffilata straordinaria, la prima volta che io ricordi per un Pontefice, anche alle nostre leggi sull’immigrazione, stratificatesi nel tempo a partire dal 1998. Ma anche a quelle comunitarie spesso aride, fredde e da aggiornare ai tempi attuali, che vedono centinaia di migliaia di persone in cammino per sopravvivere. Già qualche settimana fa, a Strasburgo, parlando ai parlamentari europei, Francesco aveva ancora toccato il tema delle migrazioni, sollecitando politiche basate più sull’accoglienza e la solidarietà, per evitare che il Mediterraneo continui ad essere il cimitero dei migranti ( oltre 3mila persone sono morte annegate o, comunque, risultano disperse, solo nel 2014). Si tratta, per i Governi dell’UE, della grande sfida, della grande responsabilità di garantire la sicurezza dei cittadini e, contestualmente, l’accoglienza dei migranti. Migranti che, nonostante le sfavorevoli condizioni meteo-marine, che caratterizzano questo periodo dell’anno, continuano a partire dalle coste libiche, da quelle egiziane, da quelle turche, incuranti del pericolo.
Al 31 dicembre 2014, i dati ufficiali del Ministero dell’Interno indicano in 170.002 il numero di persone soccorse nel Canale di Sicilia, nell’intero anno, condotte, poi, anche nei porti di altre regioni (Puglia, Campania, Calabria e Liguria). Il numero sarebbe stato ancora più alto se i 3.052 migranti intercettati in acque internazionali dalle autorità navali di altri paesi non fossero stati riaccompagnati nei paesi di partenza. Gran parte delle imbarcazioni sono salpate dalla Libia con 141.484 migranti, seguita dall’Egitto con 15.283 e dalla Turchia con 9.544 Imponente il numero di giovani e giovanissimi minori di età, oltre 23mila di cui ben 18.599 solo dalla Libia. Chi aveva profetizzato che la fine della operazione Mare Nostrum nel Mediterraneo, giusto due mesi fa, avrebbe determinato una formidabile frenata al flusso migratorio dalla Libia, è stato ampiamente sconfessato dai numeri dei soccorsi effettuati in mare dal primo novembre alla fine dell’anno: ben 15.753, numero di gran lunga superiore a quello dello stesso periodo del 2013. E ciò è stato possibile grazie ancora alla presenza della navi della nostra Marina Militare, in minima parte inserite nel contesto dell’operazione Tritone (ritenuta insufficiente anche da parte dell’Onu), ma in gran parte in mare per assicurare, ancora per poco tempo ( già scaduto il 31 dicembre?) quel “dispositivo navale di sorveglianza e sicurezza marittima” che ha consentito di soccorrere oltre 4mila persone e arrestare 19 scafisti sul totale dei 50 arresti fatti in questi due mesi di operatività. Chi pensa, poi, ad una “immigrazione selezionata” (“controllata”) come fa Salvini segretario della Lega Nord, che parla ripetutamente in televisione di far entrare nel paese solo gli stranieri che servono alla nostra economia e, magari, in possesso di una particolare specializzazione, è in mala fede o non conosce bene quello che sta accadendo in Africa e in Medio Oriente. Le nazionalità di provenienza delle persone indicano chiaramente che si tratta di paesi in guerra o dove ci sono inenarrabili persecuzioni etniche o religiose: 41.648 i siriani, che rappresentano la comunità maggiore, 34.329 gli eritrei, 9.839 i maliani, 8.929 i nigeriani (ricordiamo le stragi in quel paese dell’esercito terroristico di Boko Haram), 8.535 i gambiani, 6.017 i palestinesi, 5.756 i somali. Che, poi, sui profughi smistati in alcuni centri di accoglienza e di richiedenti asilo debbano fare affari alcuni delinquenti, come emerso nelle recenti indagini romane, è un aspetto veramente rivoltante.