Il pianeta giustizia ha vissuto profonde trasformazioni nel corso dell’anno appena trascorso, che ha visto un alternarsi di riforme, controriforme ed annunci tanto mirabolanti quanto inconcludenti. Nel corso dell’anno è proseguito e si è ulteriormente sviluppato il trend rivolto a porre rimedio alla insostenibile situazione di affollamento carcerario, per la quale l’Italia aveva subito un duro richiamo dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013.
C’è da precisare che la situazione di superaffollamento carcerario non derivava da un incremento della criminalità ordinaria (che al contrario è diminuita per quanto riguarda i reati più gravi) ma è il frutto di un decennio di legislazione “securitaria” che ha portato ad una ingiustificata recrudescenza delle sanzioni nei confronti della criminalità di strada e della devianza frutto dell’emarginazione sociale. Fino al punto da creare una specie di diritto penale del nemico (includendo in questa categoria clochard, immigrati, tossicodipendenti), con il quale si è voluto bilanciare il ridimensionamento del contrasto ai reati dei colletti bianchi, operato soprattutto con la legge Cirielli del 2005 che ne ha ridotto i termini di prescrizione.
La politica di riduzione dell’area della carcerazione è iniziata con la cosiddetta legge “sfolla carceri” (L. 199/2010 e successivi interventi), che ha consentito di scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari, ed è proseguita con provvedimenti diversi, fra cui merita di segnalare l’introduzione del nuovo istituto della messa alla prova (L. 28/4/2014) che mira a realizzare una un’equilibrata de-carcerizzazione”, offrendo un percorso di reinserimento alternativo ai soggetti processati per reati di minore allarme sociale, ed a realizzare una opportuna deflazione dei procedimenti penali, mediante l’estinzione del reato dichiarata dal giudice in caso di esito positivo della prova.
Ma l’opera principale di smantellamento della legislazione securitaria è venuta dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 32/2014, ha cancellato gli effetti perversi della legge Giovanardi, che aveva equiparato lo spaccio di sostanze stupefacenti leggere a quelle pesanti. Altre sentenze della Consulta sono intervenute, restituendo ai giudici la possibilità di concedere le attenuanti ai recidivi. Su questo terreno si è sviluppata una sinergia virtuosa con la Cassazione che, con la sentenza delle Sezioni Unite del 29/5/2014, ha statuito che le riduzioni di pena, conseguenti alle dichiarazioni di incostituzionalità possono applicarsi anche nei casi di condanna passata in giudicato.
L’interazione fra provvedimenti legislativi, pronunce della Consulta ed indirizzi giurisprudenziali della Cassazione ha portato ad una sostanziale decremento della popolazione carceraria che, al 30 novembre del 2014, si era attestata a circa 54.000 presenze, a fronte di una capienza di 49.000 posti.
Non si sono registrati invece passi in avanti sul fronte del contrasto ai gravi fenomeni di corruzione che gravano sulla vita pubblica in quanto non sono stati affrontati i problemi, ormai incancreniti, della inadeguatezza delle pene, della ristrettezza della prescrizione e del conseguente abuso delle garanzie del processo. La riforma già annunziata da Governo a fine agosto, soltanto pochi giorni fa è stata tradotta in un testo di 30 articoli (su corruzione, prescrizione ed intercettazioni), che l’Associazione Nazionale Magistrati ha giudicato debole, il cui percorso parlamentare deve ancora iniziare e non è per niente scontato.
Con molta più precipitazione si è agito invece nel campo della riforma del processo civile dove addirittura si è provveduto con un decreto legge (D.L. 132/14) accompagnato da mirabolanti promesse sulla riduzione dei tempi della giustizia civile e da sberleffi ai magistrati sul sito del Governo. In questo caso le misure previste, salvo alcuni aspetti positivi riguardanti l’esecuzione dei provvedimenti giudiziari, sono del tutto inadeguate a rendere più efficiente e veloce il servizio giustizia. La degiurisdizionalizzazione delle controversie civili (vale a dire il trasferimento in sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria), comporterà un sensibile incremento dei costi per gli utenti della giustizia ed una diminuzione delle garanzie di imparzialità e professionalità del giudice. Per i soggetti deboli ottenere giustizia sarà un calvario ancora peggiore di quello attuale. Ma è soprattutto l’intervento sulla disciplina del lavoro, attraverso il c.d. Jobs Act, concepito per scacciare il controllo di legalità dai luoghi del potere privato, che qualifica in senso di classe l’azione “riformatrice” di questo Governo e rende pesantemente negativo il bilancio dell’anno appena trascorso.