Esattamente trent’anni fa, il 23 dicembre 1984, presso la grande Galleria dell’Appennino(18 chilometri) in località Vernio, dove la ferrovia procede diritta e la velocità supera i 150 chilometri, il treno rapido n. 904 proveniente da Napoli e diretto a Milano, fu colpito da un’esplosione molto violenta per una carica di esplosivo radio comandata, posta su una griglia porta bagagli del corridoio della nona carrozza di seconda classe al centro del convoglio. L’ordigno era stato collocato sul treno era stato collocato sul treno durante la sosta alla stazione di Santa Maria Novella.
A differenza di quello che era successo nella strage dell’Italicus dieci anni prima, questa volta gli attentatori aspettarono che il treno penetrasse nel tunnel e la denotazione avvenuta a quasi metà della galleria provocò uno spostamento di aria che distrusse i finestrini e le porte. Ci furono 15 morti che sarebbero poi saliti a 17 per le conseguenze dell’esplosione. Il personale delle Ferrovie dello Stato organizzarono i soccorsi in maniera encomiabile(il 2 agosto 1980 c’era stata la grande strage alla stazione di Bologna). Le vittime dell’attentato andarono dai nove anni di Anna De Simone ai 67 di Giovanni Calabrò. Nel marzo 1985 vennero arrestati a Roma per altri reati(tra i quali traffico di stupefacenti) Guido Cercola e il pregiudicato Giuseppe (Pippo) Calò, noto mafioso di Palermo. L’11 maggio successivo venne identificato il covo dei due arrestati in un edificio rustico presso Poggio San Lorenzo di Rieti: nella perquisizione furono ritrovati alcuni chili di eroina e un apparato rice-trasmittente, delle batterie, alcuni apparecchi radio, antenne, cavi armi ed esplosivi. Le perizie condotte, prima a Roma e poi a Firenze, dimostrarono come quel tipo di materiale fosse compatibile con quello usato nell’attentato al treno e anche l’esplosivo era dello stesso tipo. L’imputazione che il p.m. Pierluigi Vigna rivolse a Firenze contro Cercola e Calò fu che la strage venne compiuta “con lo scopo pratico di distogliere l’attenzione degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata che in quel tempo subiva la decisiva offensiva di polizia e magistratura per rilanciare l’immagine del terrorismo come l’unico, reale nemico contro il quale occorreva accentrare ogni impegno di lotta dello Stato. ” Emersero allora anche linee di collegamento tra Calò, mafia, camorra napoletana gli ambienti del terrorismo eversivo neo fascista , la loggia P2 e con la Banda della Magliana. E con alcuni personaggi del terrorismo neofascista come Cristiano e Valerio Fioravanti, Massimo Carminati e Walter Sordi. Le deposizioni di tutti questi personaggi emersero al maxi-processo dell’8 novembre 1985 di fronte al maxi-processo dell’8 novembre 1985 di fronte al giudice istruttore Giovanni Falcone.
Tra l’89 e il ’91 si ebbero i risultati giudiziari: il 25 febbraio 1989 la Corte di Assise di Firenze diede l’ergastolo a Pippo Calò, a Cercola e per altri personaggi legati a due (Alfonso Galeota, Giulio Pirozzi e Giuseppe Misso, boss della Camorra, il Boss del Rione Sanità ).
A queste pene aggiunse 28 anni di detenzione per Franco Di Agostino e 25 per Schaudinn più altre pene ad altri personaggi dell’inchiesta per banda armata. Per Calò e Cercola le pene vennero confermate e la corte era presieduta dal giudice Catelani. Le condanne all’ergastolo per Calò e Cercola vennero confermate e anche Di Agostino si vide la pena commutata in ergastolo. Pisso, Pirozzi e Galeota furono assolti per il reato di strage e condannati per detenzione illecita di esplosivo. Dopo l’annullamento della sentenza di appello da parte del giudice Carnevale, presidente della Prima sezione, la Suprema Corte annullò la sentenza con rinvio disponendo un giudizio dinanzi ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Firenze. Quest’ultima confermò gli appelli per Calò e Cercola, condannò Di Agostino a 24 anni e Schaudinn a 22. Misso, Galeota e Pirozzi vennero assolti dai reati di strage. Galeota e Pirozzi ritornando a Napoli furono assaliti e si salvarono a stento e la quinta sezione della Cassazione penale riconobbe la matrice “terroristico-mafiosa” dell’attentato. Il deputato dell’MSI Massimo Abatangelo fu a sua volta assolto per la strage ma condannato a sei anni di carcere per aver consegnato dell’esplosivo a Giuseppe Misso nella primavera del 1984.
L’ultimo episodio riferito a quella strage. riguarda i rapporti tra terrorismo neofascista e mafia. Il 27 aprile 2011 la DDA di Napoli emise un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Salvatore Riina come mandante della strage del rapido 904. Ora finalmente i documenti di archivio che riguardano quella terribile strage sono stati desecretati e varrebbe la pena che qualcuno trent’anni dopo li studiasse per comprendere meglio che cosa è veramente successo.