Si è aperta con un minuto di silenzio ieri mattina l’ultima giornata di
Officina Medio Oriente, moderata da Flavio Lotti, direttore del
Coordinamento nazionale enti locali per la pace, cui hanno partecipato
alcuni inviati speciali in quella parte del mondo, Bijan Zarmandili de
L’Espresso, Fulvio Scaglione di Famiglia Cristiana, Filippo Landi della
Rai ed inoltre Piergiorgio Cattani, caporedattore di Unimondo. E non
poteva essere altrimenti, considerato quanto è avvenuto sabato a Brindisi.
Dalla violenza cieca contro una scuola e le sue studentesse alla violenza
che dilania il Medio Oriente, dunque; ma con l’obiettivo, proprio di tutta
la manifestazione, di porre l’accento soprattutto sulle dinamiche di
trasformazione e sui segnali di speranza, su quanto cioè le persone di
buona volontà possono e devono fare in favore della pace. Anche se le
tensioni e le guerre in Medio Oriente, così come le mafie in Italia,
durano da tanti, troppi anni.
“Ieri a Brindisi è stata colpita una scuola e sono state colpite delle
ragazze – ha detto l’assessore provinciale alla solidarietà internazionale
Lia Giovanazzi Beltrami, ideatore della manifestazione, giunta quest’anno
alla seconda edizione. Siamo doppiamente sconvolte. La settimana scorsa
ero a Palermo, all’Ucciardone, assieme a tante altre donne. La sostituta
procuratore Antimafia lo aveva sottolineato in quell’occasione: a fare
paura alle mafie, a fare paura a chi usa la violenza, oggi sono in primo
luogo le donne, che respingono quel tipo di cultura e di mentalità. Anche
ad Officina Medio Oriente abbiamo visto in questi giorni una fortissima
presenza di donne da un lato e di giovani dall’altro. Il tutto all’insegna
della non-violenza. Così, anche di fronte alle notizie che ci arrivano da
Brindisi, dobbiamo rilanciare con forza il valore della non-violenza,
l’insegnamento che ci arriva da Gandhi. E non perderci mai d’animo, non
stancarci mai di costruire la pace ‘dal basso’, come abbiamo fatto con gli
studenti trentini che hanno animato i vari eventi, con i ragazzi di
Beresheet La Shalom, con le donne per la pace e con quelle della
Coldiretti, con le associazioni, con i tanti cittadini ‘comuni’ che non si
rassegnano al degrado, all’odio, alla guerra.”
E’ stata quindi la volta di Cattani, che si è soffermato sul ruolo dei
social network nella Primavera araba ed in generale nella galassia
dell’informazione, ma anche quello di testate come Al Jazeera, che ha
assunto un ruolo di guida in alcuni degli eventi degli ultimi due anni, ma
che è sostenuta finanziariamente dal Qatar, ed è quindi influenzata dagli
interessi politici di quel paese e dei suoi alleati. Al tempo stesso, in
Siria, i cittadini che riprendono gli eventi della guerra civile con il
loro telefonino e li postano su youtube sono oggi a tutti gli effetti
protagonisti a pieno titolo dell’informazione globale. Tuttavia anche qui
bisogna stare attenti: spesso ci sono delle bufale. “Ci vuole una
info-peace – ha detto Cattani – un’informazione che sia anch’essa ispirata
dai principi della pace, fin dal linguaggio adoperato.”
Filippo Landi ha riportato nel suo intervento le parole di un cuoco
egiziano, uno dei tanti testimoni muti della storia e delle sue tragedie:
“Per quanto sia difficile oggi la situazione, mi ha detto questa persona,
non accadrà più quello che succedeva prima: ci stavano succhiando
l’anima.” Per l’inviato Rai, l’Occidente ha trascurato per troppo tempo
questi scenari, non ha visto ciò che stava maturando nelle società
mediorientali. Ma in questo siamo in buona compagnia. Mentre scoppiava la
crisi egiziana i vertici dei servizi segreti israeliani sembravano del
tutto all’oscuro.” Centrale rimane ovviamente in questo scacchiere il
conflitto israelo-palestinese: “Nulla negli ultimi quarant’anni è
migliorato nella situazione dei palestinesi – ha detto ancora Landi – e
forse a qualcuno nelle cancellerie europee fa comodo non vedere, ma
certamente Al Jazeera e anche altri media, compresi i social network, le
immagini le mostrano. E influenzano le opinioni pubbliche di società, come
quelle arabe, che comunque stanno cambiando, rapidamente, anche se noi non
ce ne rendiamo conto.”
Bijan Zarmandili ha spostato il fulcro dell’attenzione sull’importanza di
eventi che assumono un carattere simbolico (a partire dall’immolazione del
giovane tunisino da cui si fa partire lo scoppio della Primavera araba) e
soprattutto sull’Iran. “La società civile iraniana per molto tempo ha
delegato il cambiamento ai giovani, agli universitari. Ma da un certo
punto in poi ciò che nasce è un vero e proprio movimento politico, non
solo espressione dell’intellighenzia. Nasce un movimento di massa. Il
punto è che non basta. Manca un legame con i conflitti strutturali di
quella società: la povertà, la repressione dei sindacati, gli insegnanti
che non vengono pagati per mesi. Quando avverrà la saldatura le cose
allora cambieranno più velocemente. Lo stesso deve avvenire anche altrove,
in altri paesi e altre società fino a qualche tempo fa personificate dai
raiss, che oggi stanno diventando più complesse e stratificate. Oggi in
quella parte del mondo i conflitti non riguardano più
l’antioccidentalismo, l’antisionismo, le religioni: questi elementi certo
rimangono, ma assumono maggiore vigore le richieste che riguardano la
condizione economica e la democratizzazione. Di fronte a ciò sia la classe
dirigente israeliana che quella iraniana sono drammaticamente ignoranti,
culturalmente arretrate, non danno alcun segno di capire ciò che sta
accadendo.” E il modello di Islam, per il futuro di quei paesi, quale
sarà? “Non quello iraniano. Piuttosto la Turchia. Un Islam insomma che si
sta adeguando ai cambiamenti, ai processi di modernizzazione.”
Fulvio Scaglione infine. “Un primo segnale di concretezza potrebbe essere
quello di riconoscere che il problema del Medio Oriente è un problema
anche nostro. Usciamo dall’idea che l’Occidente sia un diffusore di
democrazia. Ciò avviene solo quando all’Occidente fa comodo. L’Italia ha
avuto per anni rapporti con la Tunisia di Ben Ali e l’Egitto di Mubarak.
La nostra visione del Medio Oriente è quella di una realtà fuori dal
tempo, e perciò stesso destrutturabile a piacimento, spesso insediando o
sostenendo leadership fantoccio. A ciò si somma l’arretratezza delle
classi dirigenti: non solo quella israeliana e quella iraniana, anche
quella palestinese. Oggi ciò non è più sostenibile, per due fattori: la
crisi economica, che in realtà non è una crisi, è una gigantesca
trasformazione delle dinamiche globali, ed inoltre la richiesta di ‘pane’,
ovvero il movimento interno a queste società, determinato dalla crescita
della componente giovanile. In alcuni paesi i giovani sono oltre il 50%;
sono spesso molto istruiti, ma non hanno lavoro, e non accettano che le
risorse nazionali vengano dilapidate dalle satrapie al potere, come è
avvenuto in passato. Di fronte a queste realtà non possiamo usare due pesi
e due misure: non possiamo stigmatizzare Timoshenko e boicottare i suoi
giochi della gioventù e al tempo stesso trascurare la repressione in
Bahrein, che ospita le gare di Formula 1.”
In chiusura Officina medio Oriente si è incrociata con la Festa dei
Popoli, tradizionale manifestazione dell’Arcidiocesi a cui partecipano le
tante comunità dei “nuovi trentini”.In quest’ambito la consegna simbolica
di una pianta di ulivo ai familiari di Stefano Leonardi, il giovane della
Val di Non recentemente scomparso, di cui era noto l’impegno nel sociale e
nel campo del dialogo interreligioso; la pianta verrà messa a dimora
quest’estate a Gerusalemme, e sarà speculare a quella che sta crescendo
nel parco Santa Chiara di Trento.
Interviste video e testimonianze raccolte nel corso della seconda edizione
di Officina Medio Oriente qui: www.webtv.provincia.tn.it/solidarieta