di Giorgio Gomel, economista e membro del CD dello IAI, è membro di JCALL, un’associazione di ebrei europei impegnata nel sostegno alla soluzione “ a due stati” del conflitto israelo-palestinese (www.jcall.eu)
L’immobilismo del governo di Israele, incapace di un’iniziativa coraggiosa di pace verso i palestinesi e colpevole di compunta indifferenza verso l’offerta di pace e di normali rapporti avanzata dalla Lega araba nel lontano 2002 e reiterata di recente, il fallimento dei negoziati condotti con la mediazione americana fino alla scorsa primavera, la guerra inutilmente distruttrice fra Israele e Hamas, la continua espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, il ritorno alla violenza soprattutto a Gerusalemme allorchè il vuoto della politica spinge all’estremismo nelle due parti in lotta, hanno spinto l’Autorità palestinese a ottenere il riconoscimento dello stato di Palestina da parte dell’ONU, con una risoluzione da sottoporre al Consiglio di sicurezza entro dicembre.
Tutto ciò è una sconfitta per tutti e un motivo di frustrazione profonda per coloro , come noi, che ritengono che una soluzione del conflitto negoziata tra le parti e basata sul principio di “due stati per due popoli” sia una necessità pragmatica e irrinviabile sia per gli israeliani che per i palestinesi.
Tre anni fa con l’ammissione all’ONU della Palestina con lo statuto di paese osservatore “non membro” in un documento di JCALL (www.jcall.eu) esprimevamo preoccupazione unita a un appiglio di speranza. Preoccupazione per l’isolamento di Israele, che si è fatto nel frattempo via via più acuto nel mondo anche nei rapporti con gli Stati uniti e l’Europa, ma anche fiducia che la ripresa di negoziati diretti fra le parti poi avviatisi nel 2013 avrebbero condotto ad un accordo anche parziale sulle tante questioni irrisolte – confini, insediamenti, meccanismi di sicurezza, rifugiati, lo status di Gerusalemme. Con il riconoscimento di uno stato il conflitto diverrebbe un conflitto più “normale” , di natura politico-territoriale fra due stati, invece che fra l’occupante e un movimento irredentista sul quale gravano ancora l’eredità guerrigliera dell’OLP e le istanze dei profughi palestinesi dispersi. Inoltre il riconoscimento di uno stato palestinese sarebbe il compimento della risoluzione 181 dell’ONU del novembre 1947 che prefigurava la spartizione della Palestina-Eretz Israel fra uno stato ebraico ed uno arabo. Per Israele ciò sarebbe una conferma del riconoscimento da parte della comunità delle nazioni , inclusi i paesi arabi e islamici che ancora oppongono un rifiuto ideologico, dell’esistenza legittima dello stato ebraico nelle frontiere scaturite dalla guerra di indipendenza del 1948-49.
Come i firmatari israeliani – intellettuali, ex- ministri e parlamentari – di un appello ai Parlamenti e governi europei in favore del riconoscimento affermano , “ .. l’esistenza e la sicurezza di Israele dipendono dalla creazione di uno stato palestinese accanto e in rapporti di buon vicinato con Israele. Non c’è alternativa al riconoscimento reciproco delle due entità nazionali, sulla base delle frontiere del 4 giugno 1967, con modifiche territoriali minori e concordate..”
Oggi allorchè l’ANP chiede alle nazioni di riconoscere lo stato di Palestina e i parlamenti e governi dei paesi della UE dibattono del tema ritengo che tale atto sia coerente con il sostegno della soluzione “ a due stati”. Certamente si tratta di un atto in larga parte simbolico, dato che il controllo del territorio dell’eventuale stato sarebbe di fatto limitato all’area A della Cisgiordania (appena il 20%), mentre l’area B pur amministrata dall’ANP resta sotto la giurisdizione militare israeliana e l’area C che occupa il 60% della Cisgiordania, pur scarsamente popolata, è sotto il pieno controllo di Israele. Inoltre Gaza resta nelle mani di Hamas e priva di un legame fisico e politico con la Cisgiordania, nonostante la formazione di un governo unitario, in virtù del la stessa ANP dovrebbe essere riconosciuta come unico governo legittimo della Palestina nella sua interezza (Cisgiordania e Gaza) e l’impegno ad affidare alle sue forze di sicurezza il controllo dei punti di passaggio fra Israele, l’Egitto e la striscia di Gaza.
Questo atto simbolico dovrebbe essere sostenuto da un’azione congiunta di pressione degli Stati Uniti e dei paesi della UE con il ricorso ad adeguati “bastoni” e “carote” per la ripresa di negoziati seri fra le parti. Andrebbe in questo senso una risoluzione che, secondo notizie di stampa, Francia, Germania e Gran Bretagna sarebbero sul punto di presentare al Consiglio di sicurezza; essa includerebbe i parametri di un accordo basato sulla soluzione “a due stati” e un impegno a giungervi entro due anni; solo allora inizierebbe il ritiro di Israele dalla Cisgiordania.