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Il mondo irrompe in casa. Caffè del 17

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Sparavano gridando il nome di Allah, ho visto la mia maestra bruciare viva”, scrive Repubblica”. “Dicevano: cercali sotto i banchi e ammazzali tutti”, La Stampa. Benigni raccontava il Quinto Comandamento e io – come, credo, molti di voi – pensavo a quei bambini che non giocheranno più. Colpevoli, agli occhi dei boia, di essere nati da una famiglia di militari o di andare a scuola insieme a figli di militari pakistani. Contro il Comandamento del Libro, contro il dettato (tante volte tradito ma necessario) delle religioni monoteiste, costoro uccidono il creato (per me la civiltà o l’umanità dell’uomo). Vorrei credere, in queste ore, a Mohsin Hamid che parla di “gesto codardo, segno di grande debolezza”. Vorrei credere che rivolgere la loro rabbia, reazionaria e disumana, contro il futuro del mondo li faccia sprofondare, sparire dalla faccia del Pakistan e della terra.

La crisi del rublo minaccia Putin e i mercati di tutto il mondo”, scrive  El Pais e il Financial Times prevede “nervosismi globali”. Per il Sole24Ore “cresce il rischio tempesta perfetta”. Le sanzioni possono aver pesato sulla svalutazione rovinosa e sul crollo della borsa di Mosca, ma il colpo bestiale lo ha dato il barile di petrolio sotto i 60 dollari. Sul petrolio, sul gas da esportare, si fondava infatti l’impero di Putin, che oggi racconterà in Tv i 15 anni della sua dittatura. A una nazione Russa che non riconosce altro capo che lui ma vede per la prima volta il rischio di una crisi che tagli i salari e faccia cadere l’occupazione. E noi? Federico Fubini spiega bene come il lungo lavoro della BCE e di Draghi per svalutare l’euro rispetto al dollaro sia in parte vanificato da questa crisi petrolifera: la moneta europea si sta apprezzando sulle valute dei paesi emergenti. La tenaglia recessione – deflazione ci minaccia di nuovo.

Di tutto ciò si avvantaggeranno gli Stati Uniti che sono ormai produttori e non più solo divoratori di petrolio? Non lo so, cercherò di capirlo. So che in questa confusione globale gli USA hanno deciso di mettere ancora il veto in Consiglio di sicurezza sul riconoscimento dello Stato Palestinese. Al punto in cui siamo, con Israele che vuole accentuare il suo carattere di stato confessionale, questo no americano suona come una rinuncia: nulla si può fare per fermare il conflitto.

A casa nostra, (a parte i fuochi indiani: la corte suprema vuole che gli rimandiano il marò La Torre, il governo resiste) tutti i titoli sono per “il testamento di Napolitano”, come lo definisce Il Giornale. “Le voci sul voto creano instabilità”, Corriere della Sera. E detta così sembra una tirata d’orecchi al Renzi, ma La Stampa aggiunge: “Napolitano difende il governo da sindacato e monoranza Pd”. E Repubblica: “Napolitano blinda Renzi: bene le riforme”.

Se guadiamo alla serie storica, niente di nuovo, L’attuale inquiino del Colle ripete dai primi di Aprile del 2013 -quando pensava di essere in uscita e le Camere stavano per riunirsi per eleggere il successore-, da allora Napolitani ripete che destra e sinuistra dovevano unirsi e riformare la costituzione al fine di tenere fuori dal palazzo “l’anti politica eversiva”.

Tuttavia se si guarda allo scenario politico contingente, direi che il Presidente è intervento a piedi uniti sul Parlamento, perchè dia al premier la legge elettorale che vuole prima che lo stesso Napolitano si dimetta a metà gennaio.

Si faccia dunque questa legge, con la speranza di Napolitano e dei mercati che non serva, come invece è possibile, a farci votare in primavera. Ma se deve essere maggioritaria, per eleggere un premier sicuro di governare per 5 anni, lo sia anche per l’elezione del parlamento. Non dunque come l’Italicum, che pretende di scegliere il premier con il naggioritario e i deputati con proporzionale capilista bloccati, candidature plurime. Un premier forte e un parlamento delegittimato è una cosa da Russia o da Turchia. E non finisce bene.

Da corradinomineo.it


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