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Tutti stranieri. Igiaba Scego: “Che sia il dieci dicembre ogni giorno dell’anno”

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Di Igiaba Scego

Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione universale dei Diritti umani. Ogni 10 dicembre, per non dimenticare quella storica conquista, il mondo celebra quei diritti che ancora in molte parti del mondo stentano ad affermarsi.

Radio tre, la storica emittente culturale di Radio Rai, da un po’ di anni in questa giornata apre i microfoni a rifugiati, esuli, stranieri che per un giorno diventano speaker radiofonici. Tutti stranieri, questo il titolo della lodevole iniziativa, mischia la programmazione usuale con le storie straordinarie e spesso dolorose degli ospiti-speaker interpellati. L’esperienza di accendere la radio ed ascoltare queste voci è stato qualcosa di incredibilmente potente. Ed ecco che trasmissioni come Fahrenheit o Alza il volume si sono arricchite delle sfumature del mondo. Il dolore di una separazione, di un paese perso per una dittatura o della voglia di costruirsi un altro se in questa nostra penisola sgangherata hanno trasformato una già ottima radio in una agorà globale dove niente è lasciato al provincialismo.

Ed ecco che l’Italia si fa mondo attraverso Hevi Dilara rifugiata curda che porta sulle spalle il dolore di un popolo assediato. La sua voce suadente ci entra dentro l’anima. E così vale per i suoi colleghi che si succedono ai microfoni degli studi di Via Asiago. La curiosità intellettuale di Shelly Kittleson ci lascia abbagliati, come anche la speranza di Zakaria Ali che ha perso tutto nella terribile catastrofe della guerra civile somala e non si da per vinto. Credono ai loro sogni questi speaker tutti speciali. E chi li ascolta spera con loro. Per un attimo ci sembra tutto possibile. Però poi il 10 dicembre finisce e ripiombiamo tutti, speaker e radioascoltatori, nella solita Italia  dove le voci straniere sono sempre fuori scena.

Anch’io tempo addietro ho partecipato a questa giornata di Radio Tre. Ricordo che con il mio solito fare critico -eh si ognuno ha i suoi difetti- ho bofonchiato al direttore Marino Sinibaldi un “Ma Marino io non sono straniera, sono nata in Italia” e lui giustamente mi aveva fatto capire all’epoca (e lo ringrazio per questo) che c’era bisogno di dare una sferzata al pubblico dei radioascoltatori (anche a quelli molto preparati di radio tre) perchè era importante far “abituare” gli italiani a questa nuova Italia che si stava materializzando sotto i loro occhi: un’Italia multietnica, meticcia, babelica. Un’Italia insomma fatta di sfumature e lingue incrociate. In Italia – e Radio Tre è un buon esempio di questo – c’è chi questo paese sempre più mescolato lo tiene presente quando compone un palinsesto o programma una pagina di giornale. Ormai anche il pubblico è meticcio. Però non è ancora pratica abituale considerare questo pubblico meticcio come un interlocutore. Ed ecco che capita di vedere titoli di giornale aberranti come: «Due padovani aggrediti da barbari tunisini»; titoli fuorvianti che non danno l’informazione corretta a chi legge, ma stigmatizza un popolo in quanto barbaro.

C’è ancora tanta strada da fare nell’informazione italiana. Ed ecco perché la giornata radiofonica Tutti stranieri è così importante. Ci mostra, anche se solo per un giorno, come potrebbe essere il nostro futuro. Ovvero una radio (ma vale anche per la tv o per i giornali) che è attraversata da più punti di vista come lo sono oggi per esempio France Culture o la Bbc. Dove lo “straniero” non è l’eccezionalità di un giorno, ma pratica quotidiana. Certo in giro per l’Italia nelle redazioni di “stranieri” o “seconde generazioni” ce ne sono eccome. La stessa Radio Tre annovera tra i suoi collaboratori l’ottima Marina Lalovic o pensiamo solo ai volti di Iman Sabbah e Veronica Fernandes di Rai News 24. Persone che non si occupano solo della tematica immigrazione, ma che donano il loro punto di vista all’ampio spettro di notizie possibili.

Purtroppo in Italia i media, lo sa bene la carta di Roma che si occupa proprio delle distorsioni dell’informazione in materia di immigrazione, spesso si da il fianco alla cosidetta chiacchiera da bar ed ecco che il razzismo fa capolino dove meno ce l’aspettiamo. C’è molto lavoro da fare ancora.

Ed è per questo che l’esperimento Tutti Stranieri è di fatto una tappa importante per la costruzione di un’informazione davvero moderna e rispettosa del prossimo. In un certo senso l’iniziativa di radio tre ci mostra una strada e sta all’Italia dell’informazione seguirla. C’è da dire che l’aggiunta di punti di vista differenti aiuterebbe (finalmente!) il paese a vedersi intero. Molto spesso si ha uno scollamento tra quello che i mezzi di informazione ci mostrano e la nostra realtà meticcia di tutti i giorni. La storia, almeno in to sui giornali, spesso ci è mostrata solo da un unico punto di vista dominante. E come se mancasse una parte di narrazione. Ed è necessario, per l’Italia in primis e per tutti noi che ci abitiamo includere queste narrazioni nel discorso pubblico. Il paese ha bisogno di creare cittadinanza anche attraverso una sana e corretta informazione. Il 10 Dicembre ci ha mostrato un po’ il futuro (che è già il nostro presente) una Radio Tre quindi un po’ somala, un po’ curda, un po’ rumena, un po’ rom. Perché di fatto è tutto il paese ad essere un po’ somalo, un po’ curdo, un po’ romeno, un po’ rom.

Il mio augurio è che questo 10 dicembre si spalmi per gli altri 364 giorni del calendario e che presto il nostro paese non abbia più bisogno di una giornata Tutti Stranieri, una giornata dedicata a chi non è (o non sembra) di qui. Il mio augurio è che le diversità di cui è composta l’Italia possano finalmente entrare nelle redazioni a pieno titolo e dialogare.

Perchè è in questo dialogo che si forma una nazione.

Da cartadiroma.org


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