Taranto è una città strategica, lo dicono tutti quelli che difendono il colosso industriale siderurgico, che poi è lo stesso finito sotto processo per disastro ambientale. Ma se qualcuno lo dice, sarà così. Sarà strategica per chi non ha nessuna intenzione di rimediare al buco occupazionale che si verificherebbe con la sua chiusura, o per chi è convinto che il nostro acciaio sia ancora competitivo con la concorrenza dei nuovi imperi economici che avanzano, o strategica per chi non sa come banalizzare, sminuire, ridimensionare il numero di morti e malattie legate all’inquinamento.
Certo che chi non la conosce la nostra città, chi non vive sotto i camini del siderurgico, chi non passa davanti alla raffineria, dubito fortemente possa capire di che stiamo parlando. Perché solo chi spalanca i polmoni e respira pienamente quell’aria, la nostra aria, può capire sul serio cosa è vivere qui, con la paura di farse una ecografia, con il timore che le analisi cliniche diano segni di una presenza, di qualcosa che ha portato via pezzi di famiglie, pezzi di vita, pezzi di una città che ogni giorno si trascina dietro una responsabilità che accomuna tutti. Tutti quelli che sono stati in silenzio ed hanno permesso tutto questo.
Taranto è divisissima ed unitissima. E’ una città in cui un giorno ci si riunisce in cento, mille associazioni ambientaliste per decidere su un tema, quello della tutela e salvaguardia di salute e ambiente, e si scende in strada tutti insieme, con numeri che in passato, nonostante i media abbiano sempre ridimensionato, chi c’era sa che parlavano di 50 mila presenze. Una marcia di due anni fa, in un 15 dicembre indimenticabile, le saracinesche dei negozi chiudevano al passaggio dei manifestanti, in un sabato sera prenatalizio, in cui il buio calò sulla città. E nel silenzio si alzava solo un grande canto malinconico, “Taranto libera”, mentre il corteo avanzava , con i bambini in prima fila, e la gente che sapeva che in quella folla c’erano gli angeli volati via per tutti i mali che si legano imprescindibilmente all’inquinamento da veleni e fumi.
Ebbene, tra qualche giorno una nuova marcia riunirà la gente che a Taranto non ci sta a starsene in disparte e continuerà a gridarlo al mondo che qui non vogliamo morire perché qualcuno ancora dice che Taranto e le sue grandi industrie siderurgiche e le altre imprese che vogliono regalarci servono al Paese. Chi se la sente di venite qui e darci una speranza? Chi decide di salvare qualcosa di noi, della nostra storia, del nostro futuro e dei sogni che qui ci sono ancora, e prendono forma ancora, e volano alti come nessuno può immaginare, se non viene qui e respira insieme a noi. Taranto ha una possibilità ancora? Taranto ha una squadra di calcio che milita in serie D. L’imprenditore di Pagani (Salerno), Domenico Campitiello, dalla scorsa estate , è il nuovo presidente del Taranto Football Club 1927, dopo Fabrizio Nardoni, assessore in carica alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia. Campitiello è un imprenditore, titolare insieme al fratello Francesco della Jomi srl, società leader nel settore dei salumi, e ha scelto Taranto per realizzare qualcosa di importante, chiedendo tempo a tutti per lavorare con serenità e tranquillità.
Qualche giorno fa, in conferenza stampa, ha dichiarato parole che chi ama questa città dovrebbe conservare nel cuore, gelosamente, per tutti quei momenti in cui qualcuno ci prova a schiacciarci la testa, ci prova a farci senti che è tutto inutile. Campitiello era visibilmente emozionato. C’era stata una brutta sconfitta in trasferta e aveva deciso di parlare alla stampa, ma in realtà ai tifosi e alla città intera e la conferenza era affollatissima. Ha parlato a viso aperto e con un sorriso che ha detto molto di più delle parole che comunque hanno raccontato di un legame con la città già costruito e che guarda al futuro.
“Sono qui e ci sono sempre stato perché sono uomo di calcio e vedo questo sport come veicolo positivo per questa città per raggiungere dei sogni, per realizzare dei progetti. Ho scelto Taranto perché è la terza città del mezzogiorno e per fare calcio questo è un requisito fondamentale. Sono deciso e vigoroso, anche a costo di sbagliare in prima persona, ma grazie al mio modo di pensare ho realizzato tutti i miei obbiettivi nel quotidiano. Capisco lo stato d’animo dei tifosi, stanchi e delusi – continua il presidente, riferendosi al passato della squadra e alle prestazioni non sempre soddisfacenti – ma dobbiamo imparare a cambiare mentalità per realizzare il nostro ambizioso progetto che tra cinque o sei anni ci deve vedere in serie B. Dunque, fiducia e pazienza perché posso confermarvi che la scelta di aver voluto rilevare il Taranto la rifarei sempre senza alcun dubbio. Mi definisco un presuntuoso che lavora e sa che alla fine il lavoro paga. Non sono molto soddisfatto di questo primo approccio alle vicende calcistiche tarantine ma non sono preoccupato perché sono nato per lottare.”
…nato per lottare…
E andando via dalla conferenza stampa avrei voluto chiedergli di chiamare altri come lui qui, altri disposti a lottare per questa città, a investire in questa città, su di noi, sui nostri ragazzi e, perché no, anche sui sogni, come quello di tornare in serie C, e poi in B, perché non è importante il viaggio, ma tutti i suoi passi, tutti gli sforzi compiuti, e le mani che ci hanno sorretto nel cammino.
Taranto ha una squadra di calcio in serie D, ma un tifo da seri A. Come tutta la città, che ha una economia in ginocchio, da serie D, ma forse anche più giù. E qualcuno ci racconta che siamo la più grande industria siderurgica d’Europa, dimenticando di dire quanto questa strana eredità culturale-industriale sia legata a un mare di bugie… ma ha un potenziale di idee, di progetti, di sogni per il suo futuro da serie A, perché del mare avremmo dovuto fare la nostra risorsa, dello stesso mare che adesso è sempre più in pericolo.
Taranto… la strategica, se lo chiede ogni giorno. … chi investe su di noi?