Venerdì 28 novembre nell’ambito di “Voci scomode”, iniziativa curata dal Caffè dei Giornalisti di Torino, in partenariato con la Maison des Journalistes di Parigi e il Dipartimento Culture, Politica e Società dell’Università degli Studi di Torino, due giovani giornalisti rifugiati hanno incontrato gli studenti e hanno raccontato la loro incredibile storia. L’evento si è inserito nel progetto di portata europea della MDJ Presse 19, progetto di sensibilizzazione alla libertà di espressione e al ruolo fondamentale del pluralismo dell’informazione che prende il suo nome dal medesimo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”
Dopo i saluti della professoressa Franca Roncarolo, direttore della Scuola di scienze giuridiche, politiche ed economico-sociali dell’Università di Torino e presidente del corso di laurea magistrale in Comunicazione Pubblica e Politica, hanno dato il benvenuto la professoressa Marinella Belluati, docente di analisi dei media, Rosita Ferrato e Maria Cristina Sidoni, rispettivamente Presidente e membro del direttivo del Caffè dei Giornalisti. La direttrice della Maison des Journalistes di Parigi, Darline Cothière, ha presentato l’attività dell’associazione: dal 2002 ad oggi sono stati accolti a Parigi 300 giornalisti rifugiati provenienti da 60 paesi diversi, una vera e propria salvezza di vita per chi ha rischiato di perderla per proteggere la verità.
Zara Mourtazalieva è una giovane donna di origini cecene, fuggita in Francia nell’ottobre del 2012 dopo più di otto anni trascorsi in prigione. Inizia a parlare agli studenti così, con un tono di voce dolce: “È la prima volta che sono qui, ne sono colpita positivamente, mi è stata confermata l’immagine che avevo dell’Italia e degli italiani: sono in grado di parlare di cose serie sempre con un sorriso, un certo senso dell’umorismo. Parleremo di cose serie e gravi ma con uno spirito anche un po’ allegro, con un sorriso, come sapete fare voi”.
Zara racconta come all’arrivo a Parigi la Maison des Journalistes garantisca ai giornalisti rifugiati un enorme supporto, un’accoglienza di grande calore e umanità e come permetta di riprendere in mano la propria vita dopo essere stati gravemente umiliati.
Studiava da interprete in una piccola città russa e scriveva per giornali locali, cose di minimo conto che non avevano alcuna relazione con la politica. In seguito ad alcuni eventi familiari è però costretta a lasciare la sua città e a trasferirsi a Mosca, dove inizia a lavorare per un’assicurazione. Dopo gli eventi avvenuti in Cecenia nel 2004-2005, come capita a centinaia di altri ceceni, viene portata in una stazione di polizia per un’identificazione. Da quella stazione però non uscirà più fino al suo rilascio, nel 2012, accusata ingiustamente di terrorismo, dopo che le avevano messo nella borsa l’esplosivo, e di un elenco lunghissimo di altri reati. Otto anni e mezzo di detenzione, ma Zara si ritiene ancora fortunata rispetto ad altri suoi compatrioti; il suo caso è infatti oggetto di grande attenzione da parte di Ong, giornalisti ed attivisti russi ed europei.
Da quando è arrivata in Francia Zara dedica la sua vita a raccontare e far conoscere quanto avviene nei luoghi di detenzione, non soltanto quelli russi. Ha già scritto un libro, “Otto anni e mezzo”, e ne sta scrivendo un secondo.
Prima di vivere la terribile esperienza di cui è stata vittima, prima di imbattersi lei stessa nella realtà autentica di quel paese, era convinta di vivere in uno stato di diritto, credeva a tutto ciò che veniva raccontato dai media locali. Per spiegare come sia forte e potente la voce dei media Zara racconta l’esperienza recente di un giornalista statunitense che per una settimana ha seguito soltanto i media russi e ha iniziato a credere davvero, in linea con quanto riportato dai media, che gli Stati Uniti e l’Europa fossero un nemico intenzionato a spazzare via la Russia dalla faccia della terra. Oggi giornalisti e mass media indipendenti sono pochi, le case editrici pochissime, soltanto un canale televisivo dà notizie più o meno obiettive; i giornalisti indipendenti lavorano come freelance per testate estere o sono stati addirittura costretti a lasciare il paese.
Accanto a Zara la storia di Agil Khalilov, giornalista dell’Azerbaigian che si introduce ricordando come debba la sua vita a Reporters Sans frontières e come grazie alla Maison des journalistes abbia potuto ricostruirsi una vita in Francia.
Nel 2007, dopo il servizio militare, Agil inizia a lavorare per un giornale di opposizione azero; nel 2008 conduce un’inchiesta su una vicenda di traffico e affari illegali in Azerbaigian. Gli abitanti della zona lo avevano informato che stavano costruendo case private in un parco pubblico, un campo di olivi, molto importante perché si trattava dell’unico polmone di una città colpita da intenso inquinamento. Sta raccogliendo video e foto quando vede arrivare una macchina nera da cui scendono degli uomini che gli chiedono spiegazioni; iniziano a colpirlo e ad aggredirlo, vogliono la memory card e l’apparecchio fotografico; Agil, già organizzato, non ha lasciato nulla nella borsa della macchina fotografica che gli consegna. Solo successivamente scoprirà che si trattava di due agenti dei servizi segreti. Dopo l’aggressione Agil scappa, anche aiutato dagli abitanti della zona, perde molto sangue ma decide comunque di prendere un taxi e correre in redazione per raccontare l’accaduto. In quel periodo il suo direttore e due colleghi si trovano in prigione, altri due colleghi erano stati uccisi, il giornale di Agil è l’unico che si occupa di dire la verità. Dopo la denuncia la polizia lo rassicura che farà il possibile per quell’inchiesta, gli abitanti avevano anche ripreso con dei telefoni cellulari tutta la scena dell’aggressione, le prove non mancavano. La polizia, nonostante le prove, cerca però di insabbiare l’inchiesta fino a proporre ad Agil 50 mila euro per dichiarare l’inesistenza delle aggressioni. Ma a lui interessa la verità, chiede giustizia, non accetta e va avanti.
L’aggressione avviene il 22 febbraio 2008, da lì in poi Agil è seguito ovunque dai servizi segreti, a lavoro, a casa. Il 13 marzo ancora una aggressione: viene pugnalato in metro senza rendersene conto, se ne accorge solo una volta portato in ospedale da un negoziante che lo aveva soccorso, il sangue è dappertutto. Queste persone non sono mai state arrestate, hanno fatto carriera, in fondo si trattava di un giornalista di opposizione, che minava la sicurezza dello stato. Dopo due o tre giorni Agil preferisce farsi curare a casa, in ospedale avrebbero sicuramente cercato e corrotto un medico per avvelenarlo.
Le aggressioni continuano anche durante il processo e ancora una volta sono a disposizione delle prove, le telecamere del tribunale avevano filmato tutto. La polizia a questo punto decide di aprire un dossier per un’inchiesta reale, non era più possibile negare né provare a negoziare, era scoppiato uno scandalo, ne parlavano tutti i giornali. L’Azerbaigian, eredità dell’ex Unione Sovietica, è protagonista della lotta interna tra KGB e polizia, questa inchiesta della polizia era la risposta a questo antagonismo. Nel momento in cui la polizia si dimostra decisa ad indagare, il KGB prende possesso del dossier e di tutto ciò che concerne Agil. Ancora una volta Agil si rende conto che non c’è nulla da fare, il KGB aveva realizzato una messa in scena, aveva trovato anche una persona che dichiarava di essere l’aggressore, ma prima di allora non l’aveva mai visto.
Il processo continua e si dichiara l’omosessualità di Agil; in Azerbaigian l’omosessualità è un insulto, spesso usato per giustificare e coprire i crimini dello stato. A questo punto l’ambasciata francese e norvegese gli garantiscono sicurezza affidandogli una guardia del corpo. Grazie a Reporters sans frontières Agil raggiunge la Francia dove trova rifugio alla Maison des Journalistes. Oggi ha una vita nuova e una famiglia in Francia, in Azerbaigian la situazione non è cambiata: non esiste libertà, tutti i giornalisti che vogliano essere liberi hanno dei problemi. Agil tuttavia conclude cosi, con una fiammella di fiducia: “Non perdo la speranza che possa esserci libertà di espressione in Azerbaigian.”
Gli studenti sono immobili, colpiti e attenti di fronte a queste due storie incredibili. Eppure, nonostante trascorsi così duri e difficili, Agil e Zara hanno regalato, durante i loro racconti, più di un sorriso.