Riceviamo e pubblichiamo questa lettera di Lucia Motti De Caro sulla vicenda che ha coinvolto il figlio Marino Massimo De Caro (nella foto) relativa al caso della Biblioteca dei Girolamini. La lettera rivolta al Sole 24 Ore è stata inviata con richiesta di pubblicazione anche al nostro sito.
di Lucia Motti De Caro
Nelle ultime settimane sono apparsi, su “il Sole 24 Ore” (v. edizione domenicale del 9 novembre 2014) e sui siti web delle associazioni A.L.A.I. e I.L.A.B., interventi nei quali sono contenute affermazioni gratuite e non corrispondenti a verità sull’operato di mio figlio, Marino Massimo De Caro, e che almeno in una circostanza chiamano in causa anche me direttamente.
Non desidero qui entrare nel merito delle questioni affrontate dalle sentenze (peraltro non definitive) relative al caso della Biblioteca dei Girolamini, e attualmente oggetto di dibattimento nel giudizio penale in corso dinanzi al Tribunale di Napoli. Mi limito a constatare che, se i mass media avessero contezza di quanto in tale sede sta emergendo, sarebbe forse risparmiata ai lettori la reiterazione di inesattezze ormai smentite dalle deposizioni testimoniali già acquisite. Su questo fronte attendo fiduciosa che la magistratura faccia piena luce, e dia modo di ricredersi a quanti si sono distinti in un’opera di linciaggio morale senza precedenti.
Sono tuttavia profondamente indignata di fronte ad alcune illazioni su circostanze, non attinenti ai fatti di causa e assolutamente non rispondenti al vero, che di seguito riassumo riservandomi di valutare ogni opportuna iniziativa.
1. Non è vero quanto si legge nell’articolo a firma di Fabrizio Govi (che riproduce sostanzialmente una parte dell’appello-petizione diffuso dal sito A.L.A.I.), pubblicato da Il Sole 24 Ore del 9 novembre, in merito alla visita della mostra “Artelibro” di Bologna nel settembre 2011, in cui si lascia intendere che mio figlio abbia ottenuto accesso facendosi accompagnare dalle forze dell’ordine.
2. Non è vero che la mia lettera ai componenti del consiglio direttivo A.L.A.I. e I.L.A.B. del 16 agosto scorso sia in realtà opera di mio figlio, che secondo il citato articolo di Fabrizio Govi – riporto testualmente – “scrive email (a firma della madre) a librai e associazioni del settore”. Poiché in quei giorni ero a Verona, in albergo, chiesi a mia nuora di curare per me l’invio. Coloro che mi conoscono sanno bene che non permetterei a nessuno, e per nessun motivo, di usare il mio nome, e ribadisco anche in questa occasione il mio appello a rispettare la scelta di mio figlio di collaborare con gli inquirenti, anziché farne motivo di scherno.
3. Non è vero che mio figlio abbia rilasciato interviste a non meglio specificati giornali italiani, come si afferma nella lettera a firma di Norbert Donhofer (pubblicata sul sito I.L.A.B. all’indirizzo https://www.ilab.org/eng/documentation/1491-de_caro_and_the_girolamini_thefts__more_from_italy.html).
4. Non è vero che il sequestro ai danni di Christian Westergaard di Sophia Rare Books sia avvenuto “dietro delazione di Marino Massimo De Caro” (come si afferma nella nota a firma Fabrizio Govi sul sito A.L.A.I.). Ulteriori illazioni del medesimo tipo, tendenti a tracciare un collegamento diretto fra la collaborazione di mio figlio con la magistratura e singoli episodi di sequestro, si susseguono del resto sia nei due articoli pubblicati da Il Sole 24 Ore del 9 novembre (a firma rispettivamente di Fabrizio Govi e di Daniele Danesi), sia nell’appello-petizione, ma sono apparentemente contraddette da quanto riferisce Norbert Donhofer a margine dell’incontro con il Dott. Piscitelli, Procuratore Aggiunto di Napoli e coordinatore della inchiesta (cito testualmente dalla menzionata lettera sul sito I.L.A.B.: “During the meeting in Naples at the end of September, the Chief-Prosecutor, Dr Francesco Piscitelli, assured both Fabrizio Govi, President of ALAI, and myself, that the Girolamini-Affair and the accompanying issues of Philobiblon/Bloomsbury and Christian Westergaard, had nothing to do with each other.”).
Non credo che sia necessario sottolineare la portata oggettivamente lesiva delle affermazioni sopra riportate, per non dire delle espressioni apertamente ingiuriose riferite direttamente o indirettamente a mio figlio, quali “abile manipolatore di persone” (così nell’appello-petizione), “si diverte a intorbidire le acque, lanciando segnalazioni agli inquirenti ” (così. oltre che nell’appello-petizione, nello stesso articolo di Govi su Il Sole 24 Ore), o “guappi di carta velina (neppure di cartone…) che hanno devastato le biblioteche ed il nostro stesso mestiere” (così “Il punto di Umberto Pregliasco”, già presidente A.L.A.I., sul sito all’indirizzo http://www.alai.it/ita/article/1497-il_punto_di_umberto_pregliasco.html).
Non posso fare a meno, tuttavia, di rammmentarVi che né la libertà di informazione, né la difesa degli interessi di categoria, possono giustificare offese alla dignità della persona. Mi rivolgo soprattutto a Lei, Signor Direttore Napoletano, e alla Sua sensibilità: non posso dimenticare che l’ultima lettera scritta da mio marito, ai primi del maggio scorso, era diretta al Dott. Gatta, in risposta ad un articolo pubblicato sul Suo giornale. Un articolo in cui, scrivendo del libro antico, era sembrato pertinente esprimere pesanti apprezzamenti su nostro figlio, a dispetto del principio di continenza. Aprire un giornale, e leggere per l’ennesima volta una litania di infamie – per di più senza che vi sia alcuna necessità legata alla cronaca, senza che vi sia alcun collegamento necessario con la vicenda dei Girolamini – significa aggiungere dolore a dolore. Mio marito è stato stroncato da un infarto, il 10 maggio di quest’anno.
A norma della vigente disciplina sull’editoria in materia di diritto di rettifica, Vi chiedo di pubblicare integralmente la presente lettera aperta su “Il Sole 24 Ore”, sul sito A.L.A.I. e sul sito I.L.A.B., riservandomi di inviarne copia ad altri organi di informazione.