Nuovo report di Medici per i diritti umani sulle condizioni di vita dei lavoratori stagionali in Basilicata. Tra quelli visitati nell’area del Vulture-Alto Bradano nove su dieci sono in regola, ma sei di loro pagano un caporale. E le informazioni sui contributi sono un optional
ROMA – Sono per lo più immigrati con regolare permesso di soggiorno, molti di loro hanno anche un contratto di lavoro, ma in più della metà dei casi sono ancora vittime del caporalato. È quanto succede ai lavoratori immigrati stagionali impiegati nella raccolta del pomodoro nell’area del Vulture-Alto Bradano, in Basilicata, protagonisti del nuovo report di Medici per i Diritti Umani (Medu). Da luglio a ottobre 2014, infatti, l’organizzazione ha assistito circa 250 migranti provenienti per la gran parte dall’Africa sub sahariana effettuando circa 267 visite e raccogliendo testimonianze sulle condizioni di vita e di lavoro.
Chi sono i lavoratori stranieri. Nella zona oggetto dello studio sono circa 300 le aziende che si occupano della produzione del pomodoro su circa 1.500 ettari di coltivazioni. Tutte le fasi della raccolta impiegano oltre un migliaio di braccianti stranieri che giungono da diverse regioni d’Italia. “In più dell’80 per cento dei casi – spiega il rapporto – provengono dal Burkina Faso e, in percentuali minori, da Costa d’Avorio, Sudan, Ghana, Mali, Sierra Leone, Ciad, Guinea Conakry e Tunisia”. Secondo il rapporto, inoltre, più del 90 per cento dei pazienti di Medu possedevano un regolare permesso di soggiorno, di cui il 48 per cento ha dichiarato di essere in possesso di un permesso di soggiorno per protezione internazionale o motivi umanitari. Più di uno su tre (35,5 per cento), inoltre, ha un permesso di soggiorno per motivi di lavoro o per attesa occupazione, ma ci sono anche lavoratori con permesso per ricongiungimento familiare o per motivi familiari (7,8 per cento) o con Carta di Soggiorno (3,9 per cento). “Dei regolarmente presenti – spiega lo studio -, l’84,4 per cento è in possesso di residenza presso un’altra regione, spesso del Nord Italia oppure in Campania (solo in due casi in Basilicata) e l’81 per cento è in possesso inoltre della carta di identità. Si tratta dunque di una popolazione lavoratrice presente in modo regolare e stabile in Italia (il tempo medio di presenza nel nostro paese è di oltre 5 anni) e che si sposta per brevi periodi di regione in regione, seguendo le stagionalità del lavoro agricolo”.
La raccolta del pomodoro vede impegnati i lavoratori stagionali in due fasi, una preparatoria precede la raccolta e vede i migranti lavorare circa 4,5 giorni a settimana per 7 ore e mezza al giorno (è quanto afferma il 60 per cento dei pazienti di Medu). “I braccianti hanno riferito di essere pagati a ora, in media quasi 5 euro, per un guadagno giornaliero di circa 36 euro – spiega il rapporto. Tale guadagno, tuttavia, deve considerarsi al lordo delle spese di trasporto poiché, in più della metà dei casi, i braccianti hanno dichiarato di dover raggiungere il luogo di lavoro in macchina o in furgone pagando circa 5 euro per il trasporto. Inoltre, il 64 per cento dei lavoratori che hanno accettato di spiegare la propria situazione lavorativa, ha dichiarato di fare ricorso alla figura del caporale, spesso un connazionale, il quale mette in contatto i datori di lavoro con la manodopera, organizza le squadre di braccianti e il trasporto”. Difficile quantificare la quota versata al caporale, spiega il rapporto, poiché estremamente variabile di caso in caso. Per quanto riguarda la raccolta, si “lavora a cassone” cioè a cottimo, circa 3 giorni e mezzo a settimana, per una media di 7 ore e mezza al giorno. In media un cassone è pagato in media 4,3 euro, per un guadagno medio giornaliero che oscilla tra i 64,5 e gli 86 euro. Per ogni cassone riempito, tuttavia, il bracciante deve consegnare 0,50 euro al caporale.
Nonostante siano la maggioranza quelli che hanno riferito di avere un contratto di lavoro, le informazioni sui contributi versati dal datore di lavoro sono un optional. Nelle fasi pre-raccolta, infatti, sebbene nel 45,5 per cento dei casi sia in possesso di un regolare contratto agricolo della durata compresa tra i 15-30 giorni e i 3 mesi, in più della metà di questi (il 60 per cento) non si hanno informazioni se si riceveranno buste paga con l’equo riconoscimento delle giornate ai fini contributivi. Per quanto riguarda la raccolta, invece, l’83,5 per cento dei lavoratori sia in possesso di un contratto di lavoro, ma quasi il 75 per cento però non sa se e quante giornate lavorative gli verranno riconosciute a livello contributivo. I dati raccolti in Basilicata, però, nostrano anche maggiori retribuzioni rispetto ad altre zone del Sud Italia. “Se in Calabria e Campania queste oscillavano tra i 25 e i 35 euro giornalieri, la retribuzione media giornaliera durante la stagione di raccolta del pomodoro in Basilicata varia invece tra i 57 e i 76 euro – spiega il rapporto -. A fronte di questo dato, è necessario però osservare che il periodo della raccolta è molto breve, dai 30 ai 60 giorni, e le condizioni di lavoro particolarmente estenuanti. Lavorare il più possibile, in un breve lasso di tempo, per guadagnare il più possibile”. (ga)