Ci sono essenzialmente due modi di leggere un risultato elettorale : quello legato a valutazioni politiche , vale a dire ai rapporti di forza tra i partiti e ai confronti con precedenti elezioni. Un primo modo proprio delle formazioni politiche ,dei loro militanti , tutti . Compresi ,quindi , i capi dei partiti , primi militanti. Il secondo si concentra sugli effetti che proiettano sul sistema istituzionale gli stessi risultati elettorali : un taglio , quindi essenzialmente istituzionale. Questo tocca agli ” uomini delle istituzioni ” , con una definizione con cui spesso si imbellettano i politici di lungo corso parlamentare , quasi a spiegare il perché del rispetto che meritano .
Quindi , non c’è da stupirsi se il dato del crollo dell’affluenza alle urne – a partire dalla regione più “votante ” del paese più “votante ” della comunità democratica – non turba i pensieri delle menti cui non è richiesto di professare una particolare sensibilità istituzionale .
Definire secondario il tracollo dei votanti rispetto al bottino elettorale in termini di seggi -o di governatori regionali , nel caso -, è legittimo da parte della filiera che va dall’ultimo militante al segretario di un partito . Quantomeno , in Italia non ci è consentito di stupircene più di tanto. Per molti può addirittura essere considerato naturale ovvio , consequenziale. Nessun appunto particolare , allora , al segretario , plebiscitario , del partito che dal suo avvento vince a man bassa tutte le elezioni incontrate sul cammino : cui tutt’al più si può , senza che suoni riprovazione , attribuire un limitato spessore istituzionale. Perché lo spessore istituzionale porta con sé , ineluttabilmente , una buona porzione di spirito terzo , difficile da far convivere con la partigianeria insita nella militanza. Li chiamiamo partiti , talora addirittura fazioni , non va dimenticato.
Possiamo estendere la valutazione liberatoria al segretario del partito democratico nella sua veste – per noi originale ,almeno a sinistra -, di capo del governo? Può essere secondario , per il presidente del consiglio , che il tasso di rappresentatività delle istituzioni – tra le quali svettano , quanto a responsabilità , gli organi costituzionali – diminuisca ad un tratto in termini così bruschi ? La risposta non è semplicissima , trattandosi ,nel caso del governo ,dell’unico organo costituzionale rappresentativo in origine di una maggioranza , ma essendo anche , nelle ambizioni proclamate di tutti i primi ministri , il governo ” di tutti gli italiani”. E’ consentito , al capo del governo ,di ignorare o di reputare irrilevante il fatto che , nel breve volgere di mesi , un terzo dei connazionali si rifiuti addirittura di partecipare alla selezione dei vari livelli di governo ,e ancor più ,delle proprie assemblee rappresentative? Di valutare la salute del sistema secondaria rispetto alla salute del proprio partito ? Di giudicare il livello del consenso ,proprio e altrui ,esclusivamente su scala , mai in termini ideali ,o comunque assoluti?
Dipende : nella forse consunta accezione di capo del governo come ” statista” , la reazione solo politica ,anzi partitica , da parte del capo del governo appare davvero stridente. In quella andante di semplice capo di uno schieramento ,ci può stare . Senza entusiasmi , chiaramente. Questioni di lana caprina ,si dirà . Forse lo sono anche , secondo il segno dei tempi. Ovvero ,al contrario , può essere la punta di un iceberg , quella che induce a pretendere di più dal capo del governo che non dal capo di un partito . Di più in termini qualitativi ,anche se si tratta della stessa persona .E se la doppia responsabilità deve degradare verso una delle due , meglio che sia il politico a sentirsi gravato di responsabilità istituzionali ,che non il contrario.
Per capire meglio ,un paio di esempi di comportamenti giustificabili dentro la responsabilità tutta politica del capo partito , e improduttivi in quella complessiva di un primo ministro .A quest’ultimo non si attaglia la pratica di trasporre il voto in un organo di partito , anche decisivo , in un obbligo per tutti i parlamentari di quello stesso partito , magari a pena di misure disciplinari. .La Costituzione non concede zone d’ombra ,sul punto. Oppure : l’altro Matteo, il neolepenista , è considerato l’avversario ideale nella competizione elettorale generale ,perché presumibilmente non potrà mai governare ,sull’esempio francese. Una considerazione politica ,finanche politologica ,interessante e forse appassionante per chi ha in mente solo la politica. Il contrario per chi si prende la responsabilità di governare un paese , per le conseguenze del sistema bloccato che la nostra democrazia ha ben conosciuto in altra stagione politico istituzionale .E non per proprie responsabilità.
Di convenzioni ad escludere ne basta una ,nella vita di un sistema democratico.