C’è un’opinione pubblica democratica nel nostro Paese che, malgrado l’ormai visibile degrado della politica e il suo crescente distacco da una società smarrita e ancora incerta sulle direzioni da prendere (speriamo di sbagliare ma, certe volte, si arriva a pensare che alcuni aspettino un uomo forte che sappia indicare alle mas se popolari e non l’obbiettivo da raggiungere) e intanto, mentre il Paese vive di nuovo un periodo di grave crisi economica e di incertezza sulle prospettive del futuro, promesse importanti non sono mantenute da chi dovrebbe farlo.
E qui vorrei citare quella che fece l’attuale presidente del Consiglio dei ministri e segretario del Partito democratico Matteo Renzi che, proprio all’esordio della sua conquista del posto di comando del governo, nell’aprile del 2014, emanò una direttiva all’amministrazione pubblica perché si togliesse il segreto di Stato sui “misteri di Italia”. E l’on. Paolo Bolognesi, che fa parte come parlamentare proprio del Partito democratico, chiedendogli un incontro ha ricordato, nei giorni scorsi, al capo del governo l’annuncio-promessa di cui era stato protagonista. La direttiva annunciava da Renzi assicurava “un versamento nei pubblici archivi della documentazione relativa alle stragi di piazza Fontana(1969),di Gioia Tauro(1970),di Peteano(1972),della questura di Milano(1973),di Brescia(1974),dell’Italicus(1974),di Ustica(1980),della stazione di Bologna(1980),del rapido (904).” Un corpus di vicende che copre più o meno un quindicennio e che è ancora lontano dall’aver rivelato le complicità e le interferenze di forze estranee alle organizzazioni terroristiche e legate a servizi segreti italiani e stranieri, o addirittura ad altre potenze che hanno caratterizzato in quegli anni il cupo orizzonte della guerra fredda e che hanno visto la contrapposizione delle due grandi potenze di allora, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, con il nostro Paese oggetto più che soggetto autonomo di storia.
Vale la pena ricordare che due personalità eccezionali della storia repubblicana rischiarono o in un caso la persero in quelle vicende. Mi riferisco, come è facile capire, ad Aldo Moro e ad Enrico Berlinguer, il primo rapito e poi ucciso dopo 55 giorni dalle Brigate Rosse e da altri di cui sappiamo poco o nulla, il secondo sfuggito fortunosamente a un attentato a Sofia nel 1973. Certo, per il versamento negli archivi, ci sono alcuni problemi pratici da risolvere, date le dimensioni note voli della documentazione archivistica che si è accumulata in alcuni decenni . L’on. Bolognesi suggerisce di utilizzare le caserme militari ormai dismesse, con un grande giovamento di risparmio sugli affitti delle sedi attuali. Inoltre è necessaria una regolamentazione precisa per ché in certi casi siamo di fronte a fatti di terrorismo con l’individuazione di mandanti ormai accertata e in altri casi di stragi ancora da decifrare. Ma su quali togliere davvero il segreto?
Il sottosegretario con delega ai Servizi segreti, Marco Minniti, ha annunciato la declassificazione dei documenti relativi all’omicidio di Ilaria Alpi e di Miram Krovatin e di 70 metri lineari di documenti dei Servizi segreti relativi alle grandi stragi tra il ’69 e l’84. Ma settanta metri per chi ha studiato a lungo quella storia come chi scrive (e pensa di preparare un lavoro nuovo sui terrorismi in Italia)sono davvero pochi per una storia così lunga e complessa e ci si chiede da chi è stata composta la commissione ministeriale che in anni ormai trascorsi ha selezionato i settanta metri di documenti che sono rimasti? Quali tempi sono previsti oggi per poterli consultare? E ci sarà un tempo in cui ci si deciderà a digitalizzare tutta la documentazione? Di fronte a domande di elementare buon senso ,il nostro Presidente del Consiglio ha fatto sapere di aver molto da fare e di non potersene occupare. E dunque l’interlocuzione si è conclusa con un nulla di fatto: per ora nessuna risposta e nessun incontro. Poi dicono a volte che la storia è maestra di vita. Di altri popoli, mi verrebbe da aggiungere, che noi italiani non conosciamo neppure…