Nel giorno in cui operai della ThyssenKrupp di Terni, minacciato di licenziamento, hanno occupato per alcune ore l’autostrada del sole, un certo Carbone,cooptato nella segreteria del Pd, ha scritto – immagino per compiacere Renzi: un tweet che così recita: “il ponte servito”. Perché la CGIL ha indetto uno sciopero generale di 8 ore il 5 dicembre, vigilia di un ponte. Landini ha risposto “non siamo fancazzisti”, uno sciopero costa e lo paghiamo caro. Giusto e se lo sciopero di venerdì consente un po’ il tempo per i figli e gli affetti, ci sta quella data, è nella tradizione. Piuttosto nessuno ha pensato che quello di Carbone poteva essere stato in realtà un lapsus freudiano. Non ponte, patto avrebbe voluto scrivere. Sì oggi il patto è servito! E ha un sapore stantio, un retrogusto amaro, non democratico.
Berlusconi e Renzi si sono incontrati – lo specchio di Giannelli ne restituisce l’immagine con la faccia dell’uno sul corpo dell’altro- e hanno deciso che la legge elettorale sarà votata in Senato entro dicembre, che cento capilista saranno bloccati -questo significa, tanto per fare un esempio, che tutti gli eletti di Grillo saranno scelti da Grillo-, hanno deciso che il premio di maggioranza spetta al partito – dunque se Renzi ripetesse l’exploit delle europee, superando la soglia del 40%, la legge gli regalerebbe altri 120 deputati-, hanno deciso di non essere completamente d’accordo sullo sbarramento ai partiti minori, che ora Renzi vuole molto basso – gli fa comodo una polverizzazione di partitini ai quali contrapporre il suo partitone della nazione- mentre Berlusconi vorrebbe soglie più alte per indurre almeno Alfano e Meloni a ricoverarsi sotto le sue ali.
Ah, dimenticavo: avrebbero deciso pure che non si vota prima del 2018. Ma queste sono promesse da marinaio -se no perché farebbero la legge elettorale così in fretta- promesse, cioè, esposte a venti e flutti della contingenza economica e politica. Corriere: “Così l’intesa”. Repubblica: “C’è il patto”. La Stampa: “Resta il nodo sbarramento”. V’ho risparmiato i due nomi, che echeggiano in ogni titolo. Stefano Folli scrive: “Perché il cavaliere ha scelto di perdere”. Segreto di pulcinella: perché vuole restare attaccato al tavolo in cui si sceglie il futuro presidente della repubblica e ottenere vantaggi per le aziende! Il Giornale introduce un altro elemento: “un pezzo del Pd molla Renzi”.
È vero, il patto è servito ma qualcuno non si è seduto a tavola. I civatiani hanno disertato la direzione e Renzi ha rinunciato a chieder un voto, come fa in genere per dire che c’è solo lui. Intanto Bersani e D’Alema e Fassina si sono visti annunciando battaglia sul jobs act, sulla legge di stabilità e su quella elettorale, almeno per le preferenze. “Sinistra schiacciata, Matteo punta al partito unico di centro” Civati approda nientemeno su Repubblica. Il Fatto sente Chiti e fa intendere che al Senato sarà dura per l’Italicum. Anche se Renzi potrà contare sul mestiere della Finocchiaro, già relatrice della contra riforma costituzionale e ora di quella elettorale e che – secondo alcuni- potrebbe essere prescelta dai nazareni per il Colle più alto.
Mi fermo all’analisi, cosa pensi io del patto testa rinnovellato, lo dirò in un post ad hoc. Intanto segnalo che le borse soffrono (Milano -2,9%) e lo spread sale un poco. Che Junker si è assolto e resta. Che Cina e Stati Uniti hanno firmato l’impegno a ridurre l’inquinamento, ma in Ucraina la Nato ha visto entrare tank russi e c’è di nuovo aria di guerra. Che il 24 scade il tempo per l’accordo sul nucleare iraniano.