Si può formulare oggi una domanda sulla ferocia, ha risposto con una fermezza che ha sorpreso alcuni, che non dice una parola sulla Siria, la nostra vicina Siria brutalizzata, barbarizzata, insanguinata, devastata, torturata?
Si riscopre un senso diverso e più corrispondente a quel cha abbiamo imparato a scuola sul “cristianesimo” girando per il salone del libro di Beirut; dove un altro cristiano, il professor Antoine Courban, passeggiando nei corridoi del salone prima di intervenire ad un dibattito che non ho potuto seguire per correre in aeroporto, dopo aver condannato con la più assoluta nettezza e fermezza la barbarie perpetrata contro i cristiani di Mosul dai terroristi dell’Isis, ha ricordato anche le vittime sunnite, anche quelle di queste ultime ore, ricordando che Gesù dalla Croce non ha fatto alcuna differenza tra sé e il ladrone crocifisso accanto a lui.
Il salone del libro è stato per me un’occasione importante, non solo per sentire cose che qui in Italia sento dire poco, ma anche per leggere, o comprare, libro. Ho infatti appreso con una certa rabbia che il libro di Sofia Amara “infiltrata nell’inferno siriano” (edizioni Sock) veniva presentato anch’esso proprio nelle ore in cui partivo. Mai orario di partenza fu più sciagurato. Ma l’ho potuto comprare. Un lavoro per me così straziante e importante è difficile lasciarlo. Questa coraggiosa giornalista francofona, ha lasciato piazza Tahrir appena ha saputo delle prime proteste in Siria, benché il suo giornale avesse dei dubbi al riguardo. E si è recata a Damasco. Ha cominciato così a seguire quella che un altro autore presente al Salone del Libro di Beirut, Ziad Majed, ha definito e raccontato come “la rivoluzione orfana”.
Quello di Sofia Amara è un libro frutto di anni di lavoro intenso, spesso clandestino, e pieno di storie, di racconti in presa diretta, di personaggi di amore e di straziante dolore.
Il risvolto di copertina dice:” Lo Stato Islamico, che terrorizza l’Oriente e minaccia l’Occidente, è la creatura di Bashar al Assad, il suo miglior alleato, il suo alibi con la comunità internazionale. Quello utilizzato per martirizzare tutto un popolo.”
Beirut non vuole morire di nuovo, per questo si sforza di ragionare ancora su quanto accade. Certo quella che ho citato qui è solo una parte della grande riflessione che la capitale libanese sta portando avanti. Ma una parte che ci fa capire quanto sia ancora ricca e preziosa, Beirut. Avrei seguito volentieri anche quelle di segno e orientamento diverso. Sarà per la prossima volta. Spero…