Già si era parlato di questa brutta faccenda nella rubrica del 9 aprile scorso. E “il manifesto” ci è tornato con un bel pezzo di Elena Tulipani. Inascoltati, nel nostro piccolo, ma in buona compagnia. La lettera inviata dall’Unione europea – critica rispetto al primo testo- è rimasta nei cassetti. Stiamo parlando della delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sulla dolente nota dei canoni delle frequenze televisive. Pur con il voto contrario del Presidente Cardani e l’astensione del commissario Nicita, l’articolato ha avuto il via libera. In luogo dell’uno per cento del fatturato, misura stabilita dalla legge n.488 del 1999 (approvata con molte difficoltà per aver osato ritoccare in su il calcolo da saldi estivi della vecchia legge Mammì del 1990), il nuovo testo interpreta a sua modo la norma contenuta nell’articolo 3/quinquies comma 4 del decreto n.16 di marzo 2012 , riducendo seccamente il dovuto da parte delle emittenti. Meglio, fa pagare le reti di trasmissione e non le aziende, dando così un aiuto sensibile a Rai e Mediaset. Si può supporre che, non potendosi variare l’introito complessivo per lo stato, gli altri broadcaster pagheranno di più. In particolare, subiranno un altro colpo letale le stazioni locali. Si dice, un risparmio di 10/15 milioni di euro per il duopolio (ex?). Ma non è del tutto vero, perché il meccanismo è progressivo e in base al cosiddetto “Glide path” per quest’anno i due trust la faranno franca. Non pagheranno nulla. “Non ti pago”, si intitolava una delle commedie di De Filippo. Appunto, bravo Eduardo.
Il disastro televisivo continua e il conflitto di interessi pure. Mediaset va tutelata e l’anima gemella pubblica viene di conserva. Solo in apparenza, però. Infatti, il governo è in procinto di varare una proposta di legge (o un altro decreto?) tesa a rivedere la questione complessiva dei canoni, si dice. Che l’esecutivo ritocchi la decisione dell’Agcom pare improbabile (a che serve se no l’Autorità?), mentre è sicura la revisione della tassa dovuta alla Rai. Si dice che il chiacchierato canone del servizio pubblico verrà rivisto: una ridotta parte fissa e una parte ulteriore proveniente dai proventi della Lotteria. In pratica un dimezzamento. Nel frattempo, la raccolta pubblicitaria è scesa del 25% e la crisi economica non induce a speranze. E quindi? Dopo il taglio di 150 milioni di euro, il disco verde dato alla vendita parziale di “Raiway”, la reale volontà di intervento si concretizza. Altro che Bbc. E’ una secca “diminutio” della parte pubblica, ottenuta con il bisturi finanziario e senza una consultazione aperta, del resto annunciata dal sottosegretario Giacomelli. A meno che il governo non riservi un’altra sorpresa, infilando -magari in un decreto- la revisione della “governance”. Di una seria riforma del sistema, neanche a parlarne. Già, il conflitto di interessi, diventato l’anatomia della Nazione mediatica. A proposito. E’ arrivato in aula alla Camera dei deputati il testo di base –davvero brutto, neppure meglio della legge Frattini in vigore – approntato dal relatore Sisto, di parte berlusconiana. Ci sono molti emendamenti, ma ci sarà qualche possibilità di infrangere il pensiero unico televisivo? L’aria non è buona e altre paiono le passioni di questa stagione.
La vicenda dello sconto sui canoni per le frequenze è una metafora di ciò che accade. “Dio mio, come sono caduta in basso”, si intitolava un film di Comencini interpretato dalla brava e sfortunata Laura Antonelli. E altrettanto è lecito dire dell’Italia, dove novant’anni or sono nasceva la radio. Pensate.
Fonte: Il Manifesto