Il leader della Destra Francesco Storace è personaggio svelto di lingua; spesso e volentieri si concede battute sgradevoli, che legittimamente possono risultare anche volgari. Quando nell’ottobre del 2007 se ne uscì, all’indirizzo di Rita Levi Montalcini, con la storia delle stampelle, ha rivelato una caduta di stile che da sola si qualifica, rivelatrice di valori e di una storia del resto apertamente e orgogliosamente rivendicata. Sgradevolezza, volgarità, caduta di stile son cose comunque opinabili, e certamente non materia di cui debbano occuparsi i tribunali. Però nel nostro paese esiste ancora il reato di vilipendio, e in particolare il polveroso articolo 278 del codice penale: “Chiunque offende l’onore o il prestigio del presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.
Ora aver definito “indegno” Giorgio Napolitano perché aveva espresso tutta la sua giusta indignazione di fronte all’aggressione patita da Levi Montalcini, diciamolo pure, è indegno. Più indegno ancora, però che chi così si è espresso debba subire un processo e rischiare una pesantissima condanna, fino a cinque anni di carcere. Non esiste proprio. Non dovrebbe esistere.
La storia presenta degli aspetti paradossali. Nel 2009, due anni dopo “l’invettiva”, il Senato di cui Storace non fa più parte, dichiara che si tratta di opinioni insindacabili. Storace scrive al presidente Napolitano cospargendosi il capo di cenere, ammette di aver ecceduto. Chiede e ottiene udienza al Quirinale, e in qualche modo Napolitano e Storace si chiariscono. Il capo dello Stato poi dichiara che non si sarebbe opposto se il Parlamento avesse abrogato l’articolo in questione. Niente da fare, la macchina della giustizia va avanti, inesorabile. Ed è curioso che si proceda nei confronti del solo Storace, visto che nei confronti di Napolitano in questi anni si è detto di tutto e di più, da tanti, alla Camera, al Senato, e altrove. Se poi qualcuno ha deciso di trasformare Storace in un martire-eroe, che – come ha del resto annunciato – guareschianamente non presenta appello e bussa alla porta di Regina Coeli, a quel qualcuno altro che Tapiro va consegnato! E comunque, si tratta di una cosa indegna.
Infine, per fare i conti della serva: quell’“indegno” pronunciato nel 2007, che rimbalza nelle aule dei tribunali, ruba tempo a magistrati e personale giudiziario che se ne devono occupare, e fra qualche giorno vedranno impegnati una corte di giustizia, quanto costa ed è finora costato al contribuente? Non c’è da scomodare Voltaire e la sua celebre frase sull’aborrire l’opinione di un avversario ma di essere disposto a morire purché ci sia la libertà di poterla esprimere. C’è solo da avere una briciola di buon senso e di senso buono: perché fare di Storace un eroe e un martire? Sembra di essere sul set di un vecchio film, quel “La legge è legge” di Christian Jacque, con Totò e Fernandel, quando quest’ultimo si trova sulla linea di confine, e il gendarme francese e il carabiniere italiano questionano e strologano di codici, cavilli e pandette. Solidarietà completa e totale a Storace, e condanna totale per un potere legislativo che ci obbliga ad essere solidali con lui, e soprattutto non ha saputo, voluto, potuto abrogare i reati d’opinione. Con rispetto parlando, è una cosa indegna.