Come si fa a giocare la partita in un campo che all’unisono ti urla contro, con un arbitro intimorito che trasforma in rigore una punizione da ripetere, e poi, non pago, ti caccia via l’allenatore per un accenno di civile disapprovazione? Scusate se uso, per parlare di politica, la bella partita persa dalla Roma con due rigori contro e uno a favore e il KO finale propiziato da un uomo in fuorigioco che accecava il portiere. Ahimè, la condizione di chi cerca di far ragionare la Sinistra o l’Italia – politico, sindacalista, o vescovo, che sia – non è molto diversa. Lo stadio ha già scelto il vincente: è il barbaro Renzi, veloce come Tevez, spietato come Chellini. Tutto il resto gli appare superato, magari elegante ma lezioso, non sufficientemente maschio e dunque perdente.
Oggi Orsina e Galli della Loggia fanno risalire – come anch’io ripeto da mesi- la situazione attuale al vuoto di buona politica che si trascina da troppo tempo. Il primo, sulla Stampa, sostiene che “lo sgretolarsi della leadership berlusconiana e dell’apparato post comunista ci ha fatto precipitare nella mucillagine neo centrista e neo trasformista” per di più in assenza di istituzioni credibili. Il secondo, per il Corriere, risale addirittura a trent’anni fa, quando la politica (al tempo, DC, PCI; PSI) si è illusa di poter usare l’Europa come alibi e lavanda delle proprie colpe, si è fatta europeista per convenienza rendendosi e colpevole di una “gigantesca dimissione di ruolo, di una vera e propria abdicazione nazionale”. Trent’anni fa? Ma questa è “memoria senza speranza”, per dirla con il nostro amato Premier, dunque “muffa”. Lo stadio vuole il gol subito e a tutti costi. I sindacati minacciano lo sciopero generale? Noi daremo ai loro iscritti quello che già era loro, parte del Trattamento di Fine Rapporto. Ma glielo daremo subito, a febbraio e per arrivare a fine mese, prima di elezioni anticipate sempre più probabili. Applausi al governo, fischi al sindacato. Quanto a Bersani e Damiano, se si ostinano a protestare dicendo togliere tutele ai dipendenti non darà tutele ai precari, gli sventoleremo in faccia il cartellino giallo. Questione di fiducia, e se non votassero, un altro giallo che diventa rosso: fuori dal campo prima di potersi opporre all’Italicum, vero cuore del Patto del Nazareno.
Monsignor Galantino, segretario (al tempo di Francesco) della CEI avverte: “per le famiglie non servono soluzioni di ossessiva pubblicità e di facile consenso”. “La verità è – incalza Maurizio Landini – che Renzi ha scelto il conflitto e lo scontro. Dietro l’operazione sull’articolo 18 c’è questo, mentre ci sarebbe bisogno di unità nel Paese, di un rilancio della contrattazione nazionale, dell’affermazione del diritto dei lavoratori di scegliere i propri rappresentanti”. Persino uno dei fan della prima ora, Matteo Richetti, denuncia come contraddittorio il comportamento del governo e del premier. Nè il rigore europeo, sul cui altare si intende sacrificare l’articolo 18, sembra saziarsi: sembra anzi che la Merkel voglia farsi vedere il meno possibile a Milano con Renzi.
È vero, le contraddizioni si accumulano e il risultati dell’azione di governo tardano, ma il barbaro premier occupa il centro della scena e il popolo di Roma gli si affida come ultima spes, male necessario per arginare altre e più devastanti minacce, come le lacrime e il sangue promessi dalla Troika o il disordine e l’anarchia di chi vorrebbe mettere Roma e la Casta a ferro e fuoco. Venerdì Grillo atterra al circo Massimo e il suo potrebbe essere uno spot insperato in favore di Renzi. Dimenticavo: i titoli! “TFR. Renzi insiste e tratta”, “Il piano del governo: in busta paga solo a chi lo chiede”, “Lavoro, scontro sul voto di fiducia”.