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Isis, l’armata del terrore

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Corre un certo timore in Occidente che la guerra, scatenata dall’ISIS in Iraq e in Siria, contro la coalizione formata dal presidente americano Obama, con i suoi quaranta alleati tra cui molti paesi arabi, possa coinvolgere   singole persone o, assai di più e persino altri   Stati  (è significativa l’esecuzione del francese Hervè  Gourdel sui monti della Cabilia e  a Timbuctu è stato decapitato un uomo rapito da militanti jiadisti) nel confronto contro il Califfato.   Basta guardare come l’ISIS sia presente con i suoi gruppi nell’Afghanistan e Pakhistan, nel Nord Africa e in Nigeria, nello Yemen e nel subcontinente indiano, in Libano  e in Somalia, in Egitto e in Siria.

Ora, al di là delle diverse fedeltà per l’uno e l’altro capo, come succede in Siria o altrove, l’assedio che l’organizzazione terroristica intende portare ad altre  città turche come   alla località curda di Koban è circondata dagli integralisti all’allarme che si è diffuso anche in Turchia rispetto a un possibile attacco di miliziani che facciano riferimento all’ISIS. Si tratta, per ora, di ipotesi ma se la forza dell’organizza zione estremista dovesse crescere fino a diventare un pericolo per altri Paesi.  E, quando si legge quel che ha detto, la Premio Nobel yemenita Tawakkol   che non è convinta a ritenere che siano sufficienti i raid condotti finora a risolvere il problema dell’integralismo che ha oggi il suo centro nel califfato che   conosciamo ormai bene. Basta  pensare alla capacità di reclutamento che l’Isis ha dimostrato fino a questo momento: gli stranieri in armi che combattono al fianco degli estremisti e della loro rete di terrore che rischia di espandersi sempre di più.  E al fatto che sono già dodicimila gli stranieri in armi  e provengono da 74 paesi diversi mentre gli europei accorsi dietro le bandiere dell’ISIS sono già tremila e non si può escludere che crescano ancora, secondo le vicende che potranno accadere  nei prossimi giorni o settimane.

Il discorso del presidente Obama, pur accolto  con visibile freddezza dall’Assemblea delle Nazioni Unite è stato efficace nel comunicare la decisa volontà dell’inquilino della Casa Bianca di distruggere il Califfato e ha invitato l’Iran a staccarsi da quella causa o per lo meno restare distante dallo scontro in armi che si sta combattendo nei paesi vicini. Del resto, anche in Bretagna. quel che è già successo ha spinto il primo ministro a riunire il parlamento per ottenere il consenso a partecipare con lo Special Air Service a partecipare ai giù incominciati raid aerei contro il Califfato.

D’altra parte gli osservatori internazionali riconoscono che gli estremisti dell’ISIS hanno dimostrato finora una notevole abilità di comunicazione :”togliendo due lette- re alla sigla dello Stato islamico nel Levante e in Iraq hanno evocato il mito di fondazione dell’Islam, un richiamo enorme per i militanti che hanno come riferimento due stelle polari: la jiad e lo Stato islamico.”  Una forma di governo che non è limitata territorialmente e che ha l’ambizione di unificare l’intero mondo della mezzaluna sotto un rinato Califfato. Che cosa può accadere, si chiedono altri osservatori, di fronte agli ostaggi uccisi che aumentano e l’arrivo di altri volontari sotto le bandiere dell’ISIS. Prevedere è ancora difficile ma che si verifichi un processo di allargamento della coalizione antioccidentale e araba che combatte il Califfato non si può escludere del tutto. Ed è difficile pensare che tutto si riduca a un aspro confronto interno tra gli islamici  che vogliono la pace e quelli che sostengono l’ISIS può apparire più rassicurante ma poco realistico. Si tratta, invece, di capire se le Nazioni Unite potranno avere un ruolo e se le potenze occidentali maggiori(gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania ma anche  la Francia e l’Italia ) avranno l’intelligenza e la forza di sconfiggere il Califfato in un tempo non troppo lungo.      


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