BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Chiedo scusa se parlo ancora di Federico (ucciso il 25 settembre di 9 anni fa)

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Se esattamente  nove anni fa Federico Aldrovandi non fosse stato ucciso oggi avrebbe 27 anni e non ci saremmo mai conosciuti. I suoi genitori Patrizia e Lino non me ne vogliano, so che comprenderanno lo spirito. Come canta Fabrizio De Andrè in una delle sue più belle poesie Giugno 1973 “Io dico è stato meglio esserci lasciati, che non esserci mai incontrati”. Se Federico non fosse stato ucciso, io non avrei incontrato persone meravigliose, e loro stesse non si sarebbero mai unite sotto il suo nome, per difendere la sua dignità e quella di molti altri come lui. “A chi vuoi che interessi questa piccola storia successa a Ferrara?” mi disse un giorno il mio direttore.  Scrollai le spalle e da quel giorno il mio lavoro non fu più lo stesso. L’omicidio di Federico ha cambiato la vita e il lavoro di tanti e li ha cambiati in meglio. Grazie a Federico.

“Perché Federico è stato ucciso dalla polizia?” Il primo a farmi questa domanda fu mio figlio quando aveva otto  anni. Non è stato facile e non lo è per niente ancora spiegare a lui e ai tanti che continuano a chiederlo che Federico non è stato ucciso dalla polizia, ma da quattro agenti che ancora oggi indebitamente vestono la divisa. In questi anni la domanda si è alzata in volo, prendendo mille strade diverse, osservando altre morti e altri abusi, e spesso come un boomerang è tornata indietro facendomi un gran male.

Se Federico non fosse stato ucciso oggi non avremmo la legge contro il reato di tortura. E infatti non è mai stata approvata. Non avremmo neanche il codice identificativo sulle divise delle forze dell’ordine. E infatti non c’è  e  di questo riconoscimento, in uso nelle polizie di mezza Europa, in Italia   è perfino vietato discutere.

E’ vero: se Federico oggi tornasse troverebbe lo stesso mondo che ha lasciato, ma anche tanti amici che portano e cantano il suo nome. Sabato scorso in Piazza Municipale a Ferrara Federico c’era e l’ho incontrato. Si chiama Federico, il figlio di uno dei migliori amici di Federico. Ha  cinque  anni e durante il concerto si rotolava per terra lanciando in aria una palla da rugby. Ogni volta che si alzava il coro “Giustizia per Federico” si guardava attorno sorpreso, poi rilanciava la palla verso un’improbabile meta sotto le gambe dei manifestanti. Il rugby è una bella metafora del sistema dell’informazione e della giustizia in Italia: i diritti bisogna conquistarseli metro per metro, sono necessarie mischie e la palla deve passare sotto mille gambe e al momento buono volare in cielo per raggiungere la meta.

Se Federico fosse vivo oggi giocherebbe a rugby con noi, nella partita dei diritti e della democrazia, che ci vede come sempre in campo ostinati e contrari, a testa alta per vedere il compagno libero pronto a scattare. Chiedo scusa se parlo ancora di Federico, ma è stato ucciso nove anni fa a Ferrara, “senza un apparente e valido motivo”, ha scritto un giudice,  e io questa spiegazione non l’ho mai digerita.

* giornalista e regista del film “E’ stato morto un ragazzo”


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