11 settembre, doveroso ricordare e commemorare le circa tremila vittime di quell’immane tragedia. Tuttavia, a distanza di tredici anni e dopo aver fatto i conti con altri due attentati dirompenti (Atocha 2004 e Londra 2005) aventi per protagonista il fondamentalismo religioso, è altrettanto importante fermarsi a riflettere, soprattutto in quest’estate scossa dalle immagini drammatiche dei tagliagole dell’ISIS che, oltre a compiere carneficine esecrabili, hanno anche preso in ostaggio e, purtroppo, assassinato diversi giornalisti occidentali.
Ora, tralasciando le affermazioni altamente discutibili del deputato grillino Di Battista, è però doveroso accantonare il fondamentalismo di casa nostra e interrogarci su cosa possa indurre ragazzi cresciuti insieme a noi, nelle nostre scuole, nei nostri quartieri, nei nostri oratori, a decidere di mollare tutto, modificare radicalmente la propria vita e le proprie abitudini e unirsi ai jihadisti del califfo al-Baghdadi in questa disperata quanto pericolosissima guerra contro le ragioni stesse dell’Occidente.
Perché è inutile minimizzare, rifugiarsi nel conformismo più bieco e insignificante e provare a risolvere la questione con un comodo cinguettio scacciapensieri: qui, come ha asserito papa Francesco, lanciando l’ennesimo allarme inascoltato, è in atto una guerra mondiale insolita nella forma ma assai consueta nei modi e nel coinvolgimento globale di ogni popolazione.
Noi ci illudiamo di vivere in pace ma non è così: non dovremo fare i conti con i bombardamenti sulle nostre città, le tecniche di combattimento si sono, a loro volta, modernizzate e raffinate, ma dobbiamo fronteggiare i video dei giornalisti sgozzati che impazzano su Youtube e ci entrano in casa in qualunque momento della giornata; allo stesso modo, dobbiamo fare i conti con la psicosi collettiva dettata dal riacutizzarsi del rischio di attentati che potrebbero sconvolgere la nostra esistenza quando meno ce l’aspettiamo; senza contare l’instabilità politica ed economica che ciò comporta, i crolli delle borse, l’aumento, più o meno allarmante, del prezzo dell’oro e del petrolio e ancora il senso di spaesamento, paura ed incertezza che sconvolge le nostre società, costrette per la prima volta a convivere con l’idea aberrante che il nemico non si annidi in una qualche grotta sperduta fra il Pakistan e l’Afghanistan ma sia magari il figlio dei vicini che, in passato, giocava in cortile con i nostri figli.
A tal proposito, guai a soffiare sul fuoco del terrore e ad alimentare sospetti infondati che finiscono col generare mostri inesistenti, frutto della fantasia malata e perversa di qualche visionario, e col fomentare episodi di razzismo e intolleranza che possono distruggere vite e incendiare interi quartieri; tuttavia, sarebbe altrettanto assurdo commettere lo stesso errore che commettemmo in Italia negli anni Settanta, quando fummo colti di sorpresa dal fatto che i brigatisti non fossero dei bifolchi cresciuti nel degrado ma persone colte, istruite e figlie di una borghesia agiata della quale, evidentemente, rifiutavano non solo il modello sociale ma lo stesso diritto ad esistere.
Non comprendere le motivazioni profonde, le radici annidate nei decenni di questo “male oscuro” che sta squassando l’Occidente e illudersi che basti prendersela col Di Battista di turno per mettere le cose a posto significa non comprendere, o meglio non voler ammettere, che nulla avviene per caso, che il fiume carsico dell’odio non si alimenta in pochi giorni e non è quasi mai frutto di una forma di follia individuale e che il nostro paradigma socio-culturale, e di conseguenza economico, fondato su individualismo, egoismo assoluto e abbandono dei più deboli al proprio destino, è non solo insostenibile ma anche gravemente immorale.
Perché è inutile nascondersi dietro a un dito: il liberismo sfrenato che impera dai tempi del duo Reagan-Thatcher è, a tutti gli effetti, una nuova, insopportabile forma di colonialismo capitalista a scapito di quei popoli che tanto avevano lottato per emanciparsi dal colonialismo militare delle ex potenze europee; come è inutile negare l’evidenza dell’orrore provocato dalle assurde guerre in Afghanistan e in Iraq, dalle prigioni di Guantanamo e di Abu Ghraib e da altre operazioni apparentemente senza senso di cui non finiremo mai di vergognarci fino in fondo. Questo giustifica la reazione dei tagliagole? Assolutamente no, ma ci aiuta a comprendere i sentimenti di quei popoli, anche se Di Battista compie un grave errore di sottovalutazione quando non pone nella giusta evidenza il pacifismo insito nel pensiero islamico corrente e la volontà costruttiva che pervade la stragrande maggioranza di ogni popolazione.
Il punto è che, nel corso dei decenni, si è venuta a creare, nelle nostre comunità, una sorta di fratellanza indotta, un senso di solidarietà montante e inarrestabile che oggi sfocia in un desiderio di “parricidio collettivo” o, per meglio dire, di distruzione di un modello di sviluppo nel quale si è vissuti ma del quale, al tempo stesso, si desidera l’annientamento, quasi pentendosi e vergognandosi di averne fatto, in qualche modo, parte.
Ci piaccia o meno, e noi ovviamente proviamo orrore e disgusto, sono questi i sentimenti che animano i tanti, troppi ragazzi della porta accanto che in questi mesi si sono recati in Medio Oriente a sostenere il Califfato islamico e a inneggiare alla guerra santa contro gli infedeli; e, a nostro giudizio, c’entra sì la religione ma, più che mai, c’entra il rifiuto di una visione del mondo che anche la sinistra, a tutte le latitudini, ha per troppo tempo accettato, difeso e addirittura propugnato, salvo poi rendersi conto, nel gorgo della crisi, della sua assurdità. Peccato che ormai i danni siano irreparabili, peccato che quel modello abbia generato esclusione e regresso, povertà e arretratezza, odi e rancori, fino a prorompere nell’estremismo più inaccettabile e barbaro, da rifiutare in toto e senza discussione di sorta, ma comunque annidato nelle nostre case e nelle nostre strade, nelle nostre vite e, quel che è peggio, nel nostro modo di pensare e di agire.
In conclusione, noi occidentali non comprenderemo mai le ragioni della violenza jihadista fino a quando ci ostineremo a pensare, con somma presunzione, di essere i padroni del mondo e di poterlo dominare incontrastati: un’idea due volte sbagliata, in quanto oggi non esiste più né il bipolarismo degli anni della Guerra Fredda né il monopolarismo americano dei primi anni Novanta; oggi il mondo è multipolare e noi, a dispetto della nostra maggiore ricchezza e benessere, costituiamo la fetta minore e meno rappresentativa della popolazione globale. In secondo luogo, rimarremo a dare la caccia mediatica al Di Battista del momento, sentendoci appagati dallo schema vigliacco del tutti contro uno, fino a quando non ci renderemo conto che oggi l’islam, religione nobile e rispettabilissima che non ha affatto al centro del proprio messaggio l’aggressione e la crudeltà bensì l’esatto opposto, è utilizzato da popoli oppressi e stremati da anni di soprusi e miseria come una grande ideologia di massa, in nome della quale costruirsi un nemico, cioè noi, e trovare la necessaria compattezza per combatterlo. Finché non capiremo che l’unica ideologia in grado di combattere questa travisazione dell’islam, e dunque quest’ideologia di morte, aberrante quanto si vuole ma comunque capace di coalizzare e creare un senso di comunità fra milioni di persone diverse, si chiama Europa, e finché non avremo l’umiltà di provare a dialogare con la stragrande maggioranza del mondo islamico pacifista, seguendo lo stile di papa Francesco, finché non faremo tutto questo, non ci rimarrà che giocare su Twitter, senza comprendere che il primo, mostruoso nemico dell’Occidente è la degenerazione dell’Occidente medesimo, da sempre nemica dell’Europa unita e abilissima nel saldarsi con l’opposto estremismo per generare conflitti sanguinosi nei quali a morire, oltre a centinaia di migliaia di innocenti, è il concetto stesso di civiltà e di dignità della persona.