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“Legge Borsellino” per spezzare legami mafia, economia e politica

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di Norma Ferrara
«Gli strumenti normativi attuali ci appaiono assolutamente inadeguati per colpire il patto di scambio politico-mafioso, ecco perché’ invochiamo la selezionabilità’ penale dell’accordo tra mafia e politica». Così ieri durante la conferenza stampa promossa dalla Fondazione Falcone – Borsellino a Palermo, il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Sicilia, Antonino Di Matteo, ha lanciato la proposta di una “Legge Borsellino” a vent’anni dalle stragi del 1992. Con il magistrato palermitano a lungo impegnato nei principali processi per mafia in Sicilia abbiamo fatto il punto su questa proposta  e sugli strumenti normativi per contrastare i boss e i “sostenitori” come il  concorso esterno in associazione mafiosa. Alle parole del procuratore nazionale Grasso “dare un premio al Governo Berlusconi per la lotta alla mafia” risponde, fuori dalle polemiche «visti i provvedimenti come il falso in bilancio e la proposta contro le intercettazioni, non penso possa ricevere un premio».

Una legge intitolata a Borsellino e volta a colpire le relazioni esterne della mafia, di cosa si tratta?
Come Associazione Nazionale Magistrati di Palermo e come Fondazione Falcone – Borsellino abbiamo pensato che oltre a commemorare i nostri due colleghi uccisi dalla mafia vent’anni fa, fosse doveroso e utile concretamente fare dei passi avanti rispetto al fenomeno, sempre più grave, dei rapporti fra pezzi delle istituzioni, dell’economia,  della politica e le mafie. Il tutto partendo proprio da una considerazione più volte espressa da Paolo Borsellino sino a pochi giorni prima della strage di via D’Amelio – che il “salto di qualità” le mafie lo fanno proprio attraverso i rapporti esterni.  E anche dalla constatazione che l’attuale normativa è carente sotto questo aspetto.

Quali lacune presenta la normativa attuale?
L’articolo di cui parliamo è il 416 ter del codice penale che punisce o sanziona penalmente il patto fra mafioso e politico o soggetto esterno al clan, in funzione di un passaggio di denaro all’organizzazione. In breve, in una campagna elettorale, ad esempio, sanziona la promessa di voto (consapevole anche da parte del soggetto esterno che stipula il patto con il mafioso) se c’è stata una transazione di danaro, come pagamento del sostegno elettorale. Numerose indagini dimostrano  che non è sempre così, anzi è più spesso sotto altre forme, che si “stipula” lo scambio e il sostegno fra i due interlocutori. Chiediamo, dunque, che il legislatore estenda  la sanzione anche ad altri favori e pagamenti attraverso altre forme, che possano essere oggetto del patto stipulato, chiaramente con le caratteristiche che valgono nell’attuale 416 ter (un patto stabilito sapendo di trovarsi di fronte ad un appartenente all’organizzazione criminale). Attraverso questo strumento, se rafforzato in questa direzione, si potranno meglio recidere gli attuali rapporti fra pezzi della società e pezzi della mafia. E’ necessario, in sostanza, che nella lotta alla mafia di cui tanti parlano ci sia assuma tutti le proprie responsabilità, passando dal livello delle parole (gli intenti…) a quello delle azioni concrete per sconfiggerla.

Rapporti mafia e politica: in molti hanno messo in discussione  lo strumento del concorso esterno in associazione mafiosa. Anche lei pensa che non sia più efficace e che vada rivisto?
Occorre, innanzitutto, sgomberare il campo da mistificazioni. Non è vero, come si è detto nelle settimane scorse, che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa sia un reato “inventato”. Si tratta, semplicemente, dell’applicazione di principi generali presenti nel codice penale in merito al concorso in un reato. Questo strumento normativo è stato utilizzato, fra l’altro, proprio dai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nei processi a carico di Vito Ciancimino, di Giovanni Gioia ed altri, negli anni ’80. Fra l’altro è utile ricordare che si tratta di un reato che è stato più volte provato e ha portato alla condanna definitiva di numerosi imputati. E’ di ieri la notizia che la Corte d’Appello ha confermato la condanna per un politico locale dell’Udc di Villabate (Pa) proprio con questa accusa. Al contrario, dunque, io sostengo che si tratta di una fattispecie di reato ancora valida e che è necessario mantenere, abbinandola ad una applicazione estesa (come sopra indicato) del 416 ter e un rafforzamento del 416 bis. Questo costituirebbe la base solida per recidere questi fenomeni di “sostegno” esterno alla mafia. Tanto più che dalle indagini di questi ultimi anni emerge sempre più chiaro il consistente contributo che un concorrente esterno al fenomeno mafioso da all’organizzazione criminale, tale da superare persino il contributo specifico dei singoli appartenenti al clan.

Queste norme e i reati correlati chiamano in causa direttamente la politica. Pochi giorni fa il procuratore nazionale Piero Grasso ha parlato di “un premio da dare al Governo Berlusconi per la lotta alla mafia” . Lei è dello stesso avviso?
Senza entrare nella polemica che quella frase ha scatenato, sono convinto e l’ho affermato anche ieri in conferenza stampa, che un Governo che ha depenalizzato il falso in bilancio, ha attaccato la magistratura ogni qual volta indagava sulle responsabilità della politica rispetto al fenomeno mafioso e della corruzione, ha tentato di far approvare un disegno di legge contro le intercettazioni, non ha fatto nulla per sanzionare il fenomeno della corruzione, che molto spesso viaggia in parallelo con quello mafioso, non possa ricevere un premio per la lotta antimafia a 360 gradi, costante e continua.

Inevitabile andare con la mente a quel 1992. Dopo la strage di via D’Amelio il capo del pool antimafia, Antonino Caponnetto disse, in un momento di sconforto:  “E’ tutto finito”. Vent’anni dopo?
Sono convinto che quelle morti non sono state inutili. Hanno creato e risvegliato in molti cittadini l’esigenza costante di una lotta alla mafia, la necessità di questa battaglia, con una forza che prima non c’era. E’ accaduto anche nelle forze dell’ordine e nella magistratura. Continuo a credere, nonostante le difficoltà, che proprio Falcone e Borsellino siano il punto di riferimento più grande per un’assunzione di responsabilità da parte di tutti e anche della politica. Ricordandoci, soprattutto, che la mafia non è pericolosa soltanto quando spara ma anche quando –  come in questi anni sta facendo in maniera “sommersa” – tende a mischiare i suoi affari con quelli legali, i suoi capitali sporchi frutto di attività criminali con quelli di una economia sana.


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