Ci risiamo. Decapitazione di un prigioniero curdo. Stessa scena, stessa camicia arancione da detenuto di Guantanamo, stessa dissolvenza a nero, a 4 minuti e 22 secondi del video incriminato. Poi, la testa adagiata sulla schiena. Non si vede altro. Questa volta i jihadisti dell’Isis, incappucciati in nero, sono tre, all’angolo di una strada deserta della cittadina irachena di Mossul, una moschea sullo sfondo. Poco prima del momento fatale c’è addirittura uno split dello schermo in due: sulla destra scorrono a tendina le immagini di incontri tra dirigenti curdi e statunitensi e le fotografie del leader curdo Masoud Barzani e del presidente Barack Obama, che intervenendo alla Casa Bianca, ha dichiarato che i miliziani sono indeboliti dai raid americani, ma che gli Stati Uniti non hanno una strategia militare contro di loro, in Siria.
Il video si apre con 15 (si possono facilmente contare, non sono 14, come scrive qualche giornale italiano) presunti prigionieri peshmerga, riuniti in una stanza, in piedi, con alle spalle la bandiera dell’Isis. Parlano tre di loro, in tre momenti diversi del video, montato. La lingua è il curdo, sottotitolato in arabo. Si rivolgono a Masoud Barzani: “Avete fatto un grande errore a stringere le mani degli Usa. Non lasciate che l’America intervenga nella nostra regione. Le nostre anime sono nelle vostre mani. Ogni errore o imprudenza da parte vostra ci costerà la vita”.
Il titolo è “Un messaggio nel sangue per i sostenitori dell’alleanza curdo-americana”, un monito al Presidente del Kurdistan iracheno perché interrompa la cooperazione con Washington. Il video segue quello che mostrava i corpi dei soldati siriani catturati e uccisi dai miliziani dell’Isis: uomini in mutande in mezzo al deserto, minacciati e obbligati a gridare “Stato Islamico”. Subito dopo, gli stessi uomini (apparentemente) vengono mostrati a terra, in fila, morti (apparentemente).
L’Osservatorio Siriano per i diritti umani, che, lo ricordiamo, ha sede a Londra, dichiara che i soldati erano stati catturati mercoledì, mentre fuggivano dalla base aerea di Tabqa, nel nord della Siria, tre giorni dopo l’attacco alla base da parte dei combattenti dell’Isis.
Ora si teme per Steven Sotloff, il reporter che compare nelle immagini dopo l’esecuzione di James Foley. Ma il mistero dell’autocensura dell’Isis, e di quella di Google, continua e si infittisce.