Lanciato in forma ufficiale dal comune, il progetto ha ottenuto un primo stanziamento di 90 mila euro per i prossimi 12 mesi. Grazie ai quali, venti rifugiati saranno accolti da altrettante famiglie. Ad oggi, del programma hanno beneficiato 143 migranti, ospitati da 122 nuclei familiari
TORINO – L’ultimo episodio risale ad appena tre settimane fa: 400 rifugiati, ospitati a Torino con i fondi del progetto Sprar, che si trovano all’improvviso a dover sloggiare dalle rispettive strutture d’accoglienza, per far posto ad altri 800 in arrivo di lì a poco. Chiedono e ottengono un incontro con i dirigenti del Comune, che salta però all’ultimo momento: quindi, in preda alla disperazione, occupano la sede dell’Ufficio stranieri di via Bologna; per poi cercare, una settimana dopo, di resistere allo sgombero vero e proprio. Che alla fine, come sempre, è avvenuto: e se alcuni sono riusciti a trovare sistemazioni provvisorie da parenti e amici, la maggior parte di loro è stata inevitabilmente inghiottita dalla strada.
Funziona così l’accoglienza in Italia; con progetti d’inserimento che possono terminare da un giorno all’altro, quando c’è da far posto a nuovi arrivati. E così all’infinito, perché i fondi sono limitati ed è praticamente impossibile tenere il passo con un numero di arrivi che ormai pare raddoppiare di mese in mese.
Proprio per questo, il comune di Torino ha appena lanciato un’iniziativa che, dai prossimi mesi, chiamerà le famiglie della città a far rete con istituzioni e associazioni. Partito in forma sperimentale nel 2008, “Adotta un rifugiato” prevede l’affidamento dei richiedenti asilo a una serie di nuclei familiari, fino a oggi individuati grazie alla mediazione di un tavolo di lavoro composto da cinque onlus, tra le quali l’Arci e la cooperativa La Tenda. In questi sei anni ne hanno già beneficiato 143 migranti che sono stati ospitati da 122 famiglie: “In questo modo – spiega Laura Campeotto, dirigente dell’Ufficio nomadi e stranieri del comune di Torino – i rifugiati hanno potuto dare continuità ai progetti nei quali erano inseriti, che, oltre all’accoglienza in strutture grandi o piccole, includono l’inserimento in percorsi di formazione e avviamento al lavoro. Questi percorsi, purtroppo, sono vincolati da fondi ministeriali limitati: una volta finiti i soldi, si interrompe anche il progetto. Coinvolgendo le famiglie torinesi, spesso riusciamo a evitare che ciò accada”.
L’idea è quella di accompagnare i richiedenti asilo verso l’indipendenza economica: e la percentuale di successo, a sentire Campeotto, è piuttosto buona, “dal momento che spesso – spiega la dirigente – sono state le stesse famiglie ad aiutare i propri ospiti a trovare un lavoro stabile. Recentemente, al termine del periodo di accoglienza, una famiglia ha addirittura deciso di continuare a vivere con la donna che stava ospitando, con la quale era nato un legame molto forte”.
La decisione del Comune è arrivata nella seduta consiliare del 22 luglio: in Sala rossa è stato deliberato uno stanziamento di 90 mila euro, provenienti da fondi ministeriali, che serviranno a inserire circa venti rifugiati nel programma. “Dopo un periodo di sperimentazione che ha dato risultati più che positivi – ha dichiarato il vicesindaco Elide Tisi – abbiamo deciso non solo di confermare, ma di proporre d’ora in poi in forma ordinaria il progetto di affidamento in famiglia di stranieri richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale o umanitaria, che necessitano di sostegno per concludere positivamente il loro processo di inclusione sociale”.
Per l’avvio del progetto manca solo l’individuazione di un ente che si occupi in via ufficiale di individuare le famiglie affidatarie. “L’unica novità, rispetto al passato – spiega infatti Campeotto – è la sostituzione del tavolo di lavoro con un unico ente gestore, una soluzione ritenuta più agevole da tutti”. Tra le opzioni per l’individuazione dei nuclei familiari, il Comune sta valutando anche l’avvio di una campagna di informazione e sensibilizzazione, da veicolare su web e media locali. Ogni nucleo riceverà una quota di circa 400 euro al mese, a titolo di rimborso per le spese vive relative all’ospitalità: “i rifugiati, infatti – conclude la dirigente – saranno già inseriti in percorsi lavorativi retribuiti, che daranno loro la possibilità di sostenersi economicamente”. (ams