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Conflitto di interessi: modesta proposta a Bersani, Di Pietro e Vendola

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“No, non faremo cadere Monti, almeno per ora…”, così parlo Berlusconi dopo essere rientrato in Italia, al termine della lunga rimpatriata con l’amico Putin. L’annuncio ha gelato gli entusiasmi dei suoi fedelissimi che già si vedevano in tuta  mimetica, pronti a scatenare l’assalto contro il “Governo dei padroni”.
I leghisti sognavano il cappio e il ritorno del Barbarossa, magari inversione Barbablù.

Purtroppo per loro, Silvio Berlusconi sarà pure suonato, ma mantiene un invidiabile istinto di classe, una variante di destra dell’antico istinto di classe.

La ragione vera della mancata rottura non ha nulla a che vedere con gli appelli di Napolitano, con i richiami dell’Europa, tanto meno con l’interesse nazionale e generale, tutte parole che non procurano emozione alcuna al cuore e, soprattutto, alle tasche del cavaliere.

La ragione vera della prudenza di Berlusconi sta nella mancata soluzione alle questioni relative all’asta del conflitto di interessi, alle nomine alla Autorità di garanzia delle comunicazioni e alla Rai, al rischio che La 7 termini nelle mani dell’odiato De Benedetti.

Sul suo tavolo, tra un frustino e l’altro, ci stanno questi dossier, gli unici che lo hanno indotto alla prudenza.

Non a caso Monti, almeno per ora, su queste materie, ha deciso di non decidere.

L’asta sarà oggetto di un lungo contenzioso teso a far scendere il prezzo delle frequenze e ad allontanare nel tempo il recepimento delle direttive comunitarie in materia di tetti pubblicitari per le tv commerciali in chiaro.

La Rai deve essere tenuta ferma, magari prorogando questo prossimo gruppo dirigente, in modo tale da non infastidire Mediaset, che sta perdendo ascolti a rotta di collo, soprattutto gli serve una autorità di garanzia delle comunicazioni che rinunci alla funzione di arbitro, per svolgere, invece, la meno nobile funzione del “Palo” che assiste ad una rapina.

La tregua con Monti durerà sino a quando il pascolo del conflitto di interessi non sarà sfiorato.

Al di là delle discussioni sul futuro e sulla costruzione di una coalizione di centro sinistra, questo potrebbe davvero essere un terreno sul quale riunire Bersani, Di Pietro, Vendola, e non solo, e provare, almeno provare, a costruire una proposta comune.

Perché non chiedere, come ha fatto la Open media Coalition, di aprire la procedura per la scelta dei candidati e delle candidate?

Perché non accogliere in modo pubblico e trasparente le candidature e le autocandidature?

Perché non chiedere che i curricula dei candidati siano discussi in modo pubblico ed attraverso un confronto tra le biografie sia per le Autorità sia per la Rai?

Se non sarà possibile, perché non rifiutarsi di partecipare al voto con regole vecchie e truccate?

Qui non si tratta di essere moderati o radicali, ma più semplicemente di condividere il principio liberale della separazione dei ruoli tra controllori e controllati e di affermare la supremazia dell’interesse generale sui conflitti di interesse.

Lancino una proposta comune, Bersani, Di Pietro e Vendola, convochino loro le altre forze politiche, i movimenti, le associazioni, invitino il presidente Monti a fare davvero qualcosa di “liberale”, concordino comunque una rosa di nomi di valore professionale indiscutibile, di autorevolezza universale.

Vedremo come si comporterà ciascuno, vedremo se i cosiddetti moderati saranno quelli che difendono simili principi, oppure più semplicemente  quelli che vogliono lucrare rendite di posizione e sfruttare sino alla fine l’agonia delle istituzioni, incamerando posti e trattando a tutto campo.

Se questa posizione dovesse, come sembra, prevalere e se persino queste nomine dovessero essere fatte con le regole e i riti del passato, che almeno, poi, ci siano risparmiate, le prediche e i moniti sull’antipolitica, sul qualunquismo, sulla sfiducia dilagante.

*tratto da http://temi.repubblica.it/micromega-online/


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