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Meritato congedo di un “investigatore di razza”

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di Edoardo Levantini

Capita raramente di incontrare uomini che hanno investigato sui più importanti casi dei ”misteri d’Italia”: dalla banda della Magliana al caso Pecorelli, dal terrorismo delle Br al caso Chichiarelli. Uno di questi è il generale dei carabinieri Enrico Cataldi, attuale comandante del Racis (il reparto che coordina tutti i reparti scientifici dell’arma). Cataldi è la memoria storica vivente delle indagini sulla criminalità organizzata a Roma e nel Lazio e sui suoi intrecci con pezzi deviati dei servizi segreti,delle istituzioni e della politica. Un investigatore, coraggioso, attento, meticoloso. Ha seguito accanto a Luigi De Ficchy il primo processo della banda della Magliana, processo che avrebbe potuto cambiare, in meglio, le sorti del radicamento dei sistemi criminali nella capitale. Ha indagato e messo le manette, negli anni ottanta, a Vincenzo Femia boss legato al clan di San Luca dei Nirta. Già in quegli anni Femia era uno dei massimi rappresentanti della ‘ndrangheta nella capitale, legato a pezzi della banda della Magliana, Femia finirà la “sua carriera” nel gennaio del 2013 ammazzato dalla ‘ndrangheta nei pressi di Trigoria.

Ancora negli anni ottanta è accanto al pm Luigi De Ficchy e ai giudici istruttori Alberto Macchia e Francesco Monastero in una delle più grandi inchieste sul crimine organizzato a Roma: il procedimento scaturito dalle dichiarazioni di Massimo Speranza un processo che vede inquadrati già allora il sistema del narcotraffico romano e il ruolo di Enrico Nicoletti. Anche questo processo-come il primo sulla banda della Magliana, sarà annullato dalla prima sezione della Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale. Cataldi ha poi guidato con successo le indagini contro le Brigate Rosse colpevoli della sanguinosa rapina e strage di via dei Prati la strage di via Prati di Papa in cui il 14 febbraio del 1987, durante la rapina ad un portavalori delle poste, gli agenti di polizia Rolando Lanari e Giuseppe Scravaglieri, restarono uccisi. Negli anni novanta come comandante della sezione anti crimine del Ros di Roma e del Lazio segue le indagini sul delitto Pecorelli e sui legami con la banda della Magliana, mafia, eversione di destra, pezzi deviati dei servizi e mondo della politica. Memorabili le sue deposizioni fiume in cui supera, indenne, ogni contro esame degli agguerriti difensori degli imputati al processo per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Alla fine degli anni novanta diviene comandate del gruppo di Frascati competente sulle indagini di alto profilo sui castelli e il litorale. Durante il suo comando arrivano a risoluzioni due scottanti casi che delineano il ruolo sempre più forte delle mafie sui territori di Aprilia e Pomezia. La soluzione del barbaro delitto di Mario Guzzon ammazzato e bruciato a tor San Lorenzo nel 1998 e l’inchiesta sulla cd tangentopoli di Pomezia.

Quest’ultima indagine, partita per colpire un giro di racket, giunse a rappresentare i solidi legami con un pezzo del mondo politico della città di Pomezia e le organizzazioni criminali. Cataldi passò poi ad insegnare alla scuola allievi sottufficiali di Velletri ed infine al comando del Racis. Fra pochi giorni si congeda dall’Arma dopo aver dato un contributo eccezionale a molte indagini contro l’illegalità organizzata a Roma e nel Lazio. Il suo contributo alla lotta alle mafie e alla difesa della costituzione non può essere perciò dimenticato.

Da liberainformazione.org


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