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Il Senato e i pasticci del governo

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Il presidente della repubblica, dopo qualche doverosa incertezza per l’eterogeneità della materia trattata e i pasticci contenuti sulle immunità (di cui parleremo) ha firmato il decreto inviato dal presidente Renzi e il nuovo Senato potrebbe nascere tra non troppo tempo. Ma (come si dice) a futura memoria, vale forse la pena avanzare alcune obiezioni che superano l’attualità politica del momento e pongono qualche problema che non è del tutto trascurabile. La prima riguarda l’immunità dei nuovi senatori che ha scatenato nell’opinione pubblica ma anche tra i sindaci delle città italiane che dovrebbero far parte, secondo il disegno di legge nato dal nuovo accordo tra il PD di Renzi e Forza Italia di Silvio Berlusconi, sarebbero 21 su 100 (il numero totale dei senatori) scelti dai consigli regionali della repubblica, accanto ai 74 senatori che spettano alle regioni e ai 5 nominati dal Capo dello Stato.

Ad ogni regione spetterà un minimo di 3 seggi (eccetto che al Molise, alla Valle d’Aosta e alle province autonome di Trento e Bolzano) e con i 19 seggi che restano dopo aver distribuito i seggi,  ci sarà la possibilità di tener conto del peso demografico delle varie regioni ma il numero dei seggi a disposizione per il riequilibrio proporzionale è molto basso tanto che, per far soltanto un esempio, la Lombardia avrà soltanto sei seggi contro i tre della Basilicata.  Quanto all’immunità la questione è davvero complicata ed è stata già messa in evidenza nei giorni scorsi. Giannini, vicedirettore di Repubblica ha osservato che “Se togli l’immunità, crei una disparità di trattamento tra i deputati (che continueranno a beneficiare dell’articolo 68) e i senatori che invece perderanno quel beneficio. Se invece la mantieni, crei una disparità di trattamento tra i consiglieri regionali e i sindaci “normali” (che non avranno alcuna tutela) e quelli che saranno nominati senatori.

Osservava ieri  Leoluca Orlando che, oltre a essere sindaco di Palermo è stato anche per molti anni professore di Diritto nell’università palermitana, che far eleggere dai consiglieri regionali un senatore potrebbe anche essere contrario alla costituzione, visto che regioni e comuni sono organi con pari valore costituzionale. L’altra questione costituzionale che non è il caso di trascurare riguarda il fiorire, con la riforma Renzi in corso, del doppio incarico dei nuovi senatori che inevitabilmente provocherà conflitti di interessi e altri problemi di sovrapposizione dei ruoli tra cui appunto quelli sulle immunità. In altri paesi, come ad esempio, la Francia si è proceduto progressivamente a una chiara separazione delle cariche e delle funzioni. Proprio nel paese vicino, una legge organica del febbraio 2014 rende incompatibile, con le cariche di deputato o senatore, tutta una serie di altri uffici, tra cui quelli di amministratore locale (ad esempio di sindaco, di sindaco di arrondissement, di presidente e vicepresidente degli enti pubblici di cooperazione intercomunale del consiglio dipartimentale, regionale e così via). Ma, a quanto pare, il confronto tra la nostra repubblica e quella vicina, non tanto nelle leggi quanto nella pratica politica è – per quello che vediamo da tempo – del tutto improponibile.

Certo, è necessaria – come è noto – una maggioranza qualificata di due terzi per approvare la legge di riforma ma il presidente del Consiglio, con il nuovo accordo concluso con l’imprenditore di Arcore che guida ancora il maggior partito di opposizione al governo, sembra in grado di raggiungere entro il prossimo luglio il suo obbiettivo di fondo almeno su questo piano. E questa partita si avvia a diventare così centrale nel quadro del programma delle larghe intese da costituire, se passasse, un salvacondotto decisivo per proseguire la legislatura anche oltre l’elezione, tra un anno, del nuovo Capo dello Stato. Con buona pace di quelli, come chi scrive, che aspira a trovarsi – appena sarà possibile – di fronte a un governo efficace di centro-sinistra piuttosto che di larghe intese con i populisti.   


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