Per dare respiro a chi lo chiedeva con le lacrime agli occhi, dare ossigeno in una terra che trasuda veleno e fumi, una terra che si nutre della sua gente, che coltiva morte, dolore e sofferenza. In quella che ormai chiamano Terra dei fuochi, nella zona di Giugliano, Afragola, Succivo, Caivano e Marcianise, dove le fiamme si levano improvvise, specie di notte, diffondendo fumo e fetore, consumando scarti d’ogni tipo e speranze, si muore in misura anomala. In quei terreni gravidi di rifiuti industriali, tossici e nocivi, i prodotti agricoli non sono sicuri e i tumori si diffondono insieme ad altre malattie.
Ecco la realtà da incubo che ieri Don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano diventato leader del movimento che chiede la bonifica di quella terra avvelenata, ha descritto incalzato dalle domande del giornalista de l’Avvenire Pino Ciociola durante l’incontro del Festival di Arte e Fede.
Un incontro attesissimo che ha toccato il pubblico presente nella cappella di San Brizio in Duomo dove si è svolto. Durante l’intervista con il parroco sono stati proiettati alcuni servizi del giornalista Ciociola girati in quelle terre disperate e di fronte agli occhi si sono materializzate immagini strazianti, madri disgraziate che hanno dovuto seppellire i propri figli perché la leucemia o il cancro glieli hanno strappati dal grembo. Due ore di intervista durante le quali il pubblico è rimasto incollato alla sedia, sconcertato da quell’orrore che uccide, quell’orrore che semina morte e disperazione.
Di fronte a questo scempio don Maurizio ha deciso di lottare usando l’arma del dialogo stanco di vedere “ogni anno seimila roghi di rifiuti, che inceneriscono scorie industriali, sprigionano veleni, ammorbano l’aria e uccidono la vita nei campi”. E di celebrare più funerale che matrimoni.
“Non possiamo tacere forse non risolveremo il problema – ha detto don Patriciello – ma almeno quelli che verranno dopo di noi non ci malediranno . Chi non vive in questa terra non comprende quanto l’uomo sia diventato stupido. L’uomo stolto ha finito col distruggere se stesso. Abbiamo usato le armi dei poveri, deboli e disperati. Stiamo portando avanti questa battaglia perché è stato Dio a raccomandarci di dare respiro a chi lo chiede con le lacrime negli occhi”.
La presentazione del suo libro “Non aspettiamo l’apocalisse” edito da Rizzoli, in una location come quella cappella di San Brizio, alla fine ha finito per trasformarsi in una lezione di vita, in un accorato appello anche alla gente di Orvieto, agli orvietani affinché si continuino a tenere accesi i riflettori sulla Terra dei Fuochi. “Perché – ha detto – sono sicuro che quando quei riflettori si spegneranno, i fuochi riprenderanno ad ardere e i fumi si alzeranno di nuovo in cielo”.
E’ questo il prete coraggioso che nel giro di poco tempo è diventata la voce e la mano operativa della Terra dei Fuochi, la stessa che ha portato a Napolitano le cartoline delle mamme che hanno perso i propri figli.
“C’è tanta gente che ha le mani sporche e la voce rauca – dice don Maurizio – ma è chi ha le mani trasparenti che ha la voce forte, come la nostra”.
E nel corso della sua battaglia don Maurizio ha incontrato tanti politici, istituzioni a cui ha ribadito con quella stessa forte voce che ha usato ieri per descrivere ciò che sta succedendo nella sua Terra: “Non so fino a quando riuscirò a mantenere la mia posizione moderata”. Il dialogo con le istituzioni, ad oggi, non ha portato risultati.
“Gli esperti – prosegue – dicono che il picco delle conseguenze arriverà nel 2064. La situazione è stata paragonata alla peste del Seicento. Conosciamo la formula, ma non facciamo nulla per intervenire. A novembre siamo scesi a Napoli, eravamo centomila. Insieme a madri senza più figli, trasformate in guerriere. Tutto ciò che si sa sulla Terra dei Fuochi è frutto del lavoro di volontari e mass media. Alcuni giovani spingono per fare più in fretta e confesso che ho paura. Se una sola persona dovesse pagare, per me sarebbe il fallimento totale”.
A margine dell’intervista il parroco ha rivolto un appello alla gente di Orvieto per ricordare la Terra dei Fuochi anche durante il Corpus Domini, un momento di preghiera per non far calare l’attenzione.
“Sarebbe bello se anche gli orvietani si unissero alla nostra lotta – ha detto don Maurizio – si potrebbe fare del bene sigillando questo gemellaggio. Queste due città (Caivano ed Orvieto) hanno in comune la bellezza e se è vero che la bellezza salverà il mondo guardando la terra dei fuochi così umiliata Orvieto si porrebbe come il fratello che dice diamoci la mano e camminiamo insieme”.
A chiudere l’intervento è stato il direttore Alessandro Lardani che, nel suo piccolo, con il suo Festival, ha già teso una mano a questa terra martoriata diventando sapiente contenitore di suggestioni culturali e di testimonianze che toccano, lasciano il segno diventando megafoni di un flagello che non può trovare silenzio.