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Rai: Renzi lancia la sfida sulla mission del servizio pubblico. Ora tocca a noi

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In premessa, è bene ricordare che nel promuovere una consultazione popolare, ampia e trasparente sul futuro della Rai chiamando gli studenti delle scuole superiori e delle università a riscrivere “la carta d’identità della Rai” in non più di dieci righe, Articolo 21non si è mai tirato indietro nel denunciare quegli interventi amministrativi e legislativi che avrebbero di fatto invalidato la consultazione pubblica spalancando la strada alla privatizzazione della Rai o, quanto meno, al suo ridimensionamento . Tant’è, la nostra mobilitazione e, per quel che vale, la nostra opera di moral suasion, hanno riportato finora risultati positivi e di tutto rilievo, a partire dagli emendamenti apportati dalla Commissione di Vigilanza al Contratto di servizio: dall’abolizione del bollino, alla reintroduzione del genere “intrattenimento” tra gli obblighi del servizio pubblico, alla sostituzione del termine scadenza della Concessione con il termine rinnovo. Né abbiamo rinunciato ad esprimere un giudizio fortemente critico verso quei provvedimenti governativi considerati illegittimi anche da autorevolissimi giuristi: dal decreto ministeriale di Zanonato che ha negato alla Rai il ritocco del canone in base all’inflazione, al prelievo forzoso di 150 milioni, e alla conseguente vendita di parte delle “torri” di trasmissione. Tanto meno ci tireremo indietro ora che il Presidente del Consiglio, annuncia un intervento legislativo del Governo in favore di un servizio pubblico che non si limiti a scimmiottare la Tv commerciale e che possa godere di una reale indipendenza dai partiti e dal potere esecutivo.

Renzi parla di “di rivoluzione culturale, di una sfida alta, non una sfida di bottega per avere un servizio in più nel Tg regionale sul politico di turno”. In un passo del suo discorso all’Assemblea del PD, il Capo del Governo addirittura restituisce diritto di cittadinanza politica al termine “educazione”, una parola censurata dal lessico politico e intellettuale degli ultimi trent’anni perché inopinatamente (ma anche strumentalmente) identificata con l’indottrinamento dei regimi totalitari o, in subordine, con la Tv pedagogica di Bernabei che agiva in regime di monopolio sotto la stretta osservanza dell’esecutivo, in un paese con decine di milioni di semianalfabeti. A questo proposito, mi sia consentita una digressione. Ho avuto il piacere di raccogliere l’unica testimonianza in video di Karl Popper sulla televisione. Parlando della pioggia di critiche alla sua idea di televisione, replicò con queste parole: “Lei mi dice che io difendo, contro l’ideale liberale, il fatto che le persone debbano essere educate e non informate. Questo non è stato mai veramente un ideale liberale. Il liberalismo classico, sotto tutte le sue forme, ha sempre accordato una grande importanza all’educazione e un’importanza ancora più grande alla responsabilità”.

Solo una coraggiosa e radicale riforma della Rai che si ponga come obiettivo la crescita culturale dei cittadini, la loro facoltà di giudizio, la sensibilità estetica e il senso critico può ancora legittimare il canone e l’esclusiva della concessione alla Rai: un’azienda che abbia pur sempre l’ambizione di raggiungere il maggior numero di telespettatori (senza per questo farne un’ossessione) e che, al tempo stesso, metta più “cultura” nei programmi, soprattutto in quelli più popolari.

Per questo non possiamo che accogliere con favore questa sfida sulla “qualità” del Servizio pubblico: una svolta importante che dà un senso al dibattito sulla governance, sui criteri di nomina e sul modello organizzativo; argomenti, che, in mancanza di una mission “alta”, diventano fini a sé stessi, in una logica di asettica ingegneria aziendale e istituzionale che prescinde dalla “vocazione etico-politica” propria di una televisione pubblica che è – anche e soprattutto – un bene comune.


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